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La sedia si chiama sedia… E non armadio

La sedia si chiama sedia… E non armadio

Racconto, Palestrina (Roma), 2009

Perché la sedia si chiama sedia?

Alcune volte mi chiedo perché la sedia si chiami sedia e l’armadio si chiami armadio.
La sedia: una parola di 5 lettere e tu la immagini una sedia, con le sue 4 zampe e la spalliera.
Può essere alta o bassa, leggera o pesante. Rivestita, imbottita. C’è chi tira le sedie e chi se le tira.
E se la sedia si fosse chiamata armadio?
Sorrido. Mi ci vedo a sedermi su un armadio.
E armadiarsi non esiste, dopotutto.
Armadio è una parola più lunga. È più grande della sedia, tra l’altro.
E certo.

Differenza tra sedia e armadio


Su una sedia puoi appoggiarci alcuni panni. Nell’armadio ce ne vanno tanti di più. Proprio tanti di più. E poi sulla sedia non puoi nasconderti.
Armadio: ha 2 lettere in più ed è una parola interessante. Arma-dio!

Se-dia = Se un día: se un giorno l’armadio diventasse sedia…

Forse, le persone chiuse dentro sarebbero costrette a parlare, a confidarsi le claustrofobie, i dubbi, le paure, i sogni.
Accomodati prego. E toh!
Lo o la chiudi nell’armadio.
Vuoi un caffè? Apri l’anta ed offri un caffè.
È un caffè all’armadio.
Ristretto? Sì, molto e molto forte: arma-dio.
Un caffè quasi corazzato.
Un caffè più sul marrone misto al sapore del ciliegio, un aroma completamente nuovo. O al retrogusto di cedro.
Può mettersi comodo, mentre sorseggia il caffè.
Non stia in piedi, che diamine!
Lascio le ante aperte così prende aria.
Si raffredda prima anche il caffè. O le piace bollente? Mi dica, mi dica pure.
Dimmi, ti prego, parliamone.
Come fai a litigare in un armadio? Si può tirare un armadio? No. Le sedie sì.
Se-(un)-dia ci mettessimo seduti nell’arma-dio a parla-re, scopriremmo il dia-logo?

La sedia si chiama sedia…
La televisione nell’armadio



Conosco un tizio che nell’armadio ha messo la televisione, per non pagare il canone.
La sera, fa scorrere l’anta e accende la TV.
(Vorrei sapere dove ha nascosto l’antenna!)
Ci sono anche gli armadi zeppi di amanti, come si racconta nelle barzellette.
Eh, negli armadi ci nascondono un sacco di cose e persone, anche i cadaveri, si dice. Pure nel senso figurato.
Figurati!

Sedia e armadio, lettere e numeri


C’è l’armadio ad anta unica, poi l’arma-dio a due ante e l’ar-ma-dio a tre ante e quello a 7 ante come i giorni della settimana: a-r-m-a-d-i-o.

La sedia ha 5 lettere: cinque pezzi.
Perché puoi ridurre schienale e zampe di dietro ad un pezzo unico.
Poi c’è il telaio con il sedile e le due zampe davanti. La sedia non ha zampe, mica è un animale.

Sedia = nome comune di cosa, non di animale.

5 lettere, 5 pezzi.

La sedia e l’armadio, i pezzi

L’armadio puoi costruirlo con 7 pezzi.
Due sportelli, i due pannelli laterali, un pannello che chiude dietro, un ripiano interno e la stecca per appendere gli abiti. Ecco fatto. Ho appena costruito un armadio.
Oppure puoi costruirlo lasciandolo vuoto dentro, senza ripiani e senza stecca.
Due sportelli con due relative maniglie, due pannelli laterali e quello che chiude dietro.
Ecco, sempre 7 elementi. Apro le ante, visto che c’è posto metto pure la sedia e faccio 12.

Che numero magnifico. Il mio preferito.

Armadio + sedia = 12.

Armadio + sedia + sedia = 17.

Armadio + sedia + sedia + Tu + Io = 21.

È il 12 rivoltato, come tutto questo chiacchierare.
Che ne dici se alla prossima ci vediamo nell’armadio per scambiare due parole?

Rapporto con l’armadio

C’era uno che aveva con l’armadio un rapporto davvero particolare. No, non ci nascondeva nessuna TV. Questo tizio, tutte le sere si metteva dritto davanti allo specchio dell’armadio della sua stanza, contava fino a 10, poi entrava nell’armadio, chiudeva gli sportelli, contava fino a 10, apriva gli sportelli, usciva, chiudeva gli sportelli, si rimetteva davanti allo specchio e ricontava fino a 10.

Intanto descrivo l’armadio. Era grande, colore chiaro con le ante scorrevoli. Sull’anta centrale c’era lo specchio e all’interno, un grande spazio dove ci si poteva muovere su e giù. Certo non tanto, ma un po’ sì.
Ora, vi chiederete: perché questo tipo tanto strano faceva appunto una cosa così strana? Perché era strano?

Per amore


No. Per amore. Lo faceva per amore.
Certo, è per amore che si fanno tante cose, anche quelle strane. Non che qui “strano”, abbia un’accezione negativa! Assolutamente.
Intanto vi dico che questo tizio si chiamava Luco. Non è un errore, si chiamava Luco perché al padre piaceva il nome Luca ma la madre non voleva che il figlio maschio avesse un nome che finiva per a.
Oppure era che alla madre piaceva il nome Luca e il padre non voleva che il suo figlio maschio avesse un nome che finiva per a?
Non mi ricordo.
Comunque sia, si chiamava Luco. Luco Trenta.
Luco di nome, Trenta di cognome. Un nome, un programma.

Luco e il numero 10. Anzi, il numero 30

Luco contava 10 volte davanti allo specchio, altre 10 volte nell’armadio e poi, ancora 10 volte quando usciva dall’armadio.
In tutto, trenta. E si chiamava Trenta.
La ragazza che amava, abitava al numero 30 di via Paola Falconieri.
Luco era nato il 30 gennaio. E anche lui viveva al civico 30 di via Laura Mantegazza.
Luco, i numeri, ce li aveva ma era l’amore che aveva perduto. Già, il suo amore.

Il numero trenta


L’amore di Luco si chiamava Margherita ed era sbocciato quando Luco aveva compiuto 30 anni d’età. Fino all’età di trenta anni, non si era mai innamorato.
Non che le ragazze non gli piacessero, anzi.
Luco aspettava solo d’incontrare l’amore vero e sapeva che sarebbe arrivato. Aveva avuto tante amiche ma nessun amore fino a trenta anni.

Luco Trenta, all’età di trenta anni, incontrò Margherita.
Anzi, ora è da dirla proprio tutta: Luco Trenta, nato il 30 gennaio 1930, domiciliato in via Laura Mantegazza 30, il 30 maggio del 1960, incontrò Margherita Gasperini nata anche lei nel 1930 ma il 28 febbraio, da padre italiano e madre canadese, domiciliata in via Paola Falconieri numero 30.
E non è finita.
S’incontrarono il 30 maggio del 1960 sapete dove? Sulla linea 30 che da Monteverde va a Piazza Risorgimento.

Un amore nasceva, un altro si spegneva


Tutti e due andavano da un capolinea all’altro, quel lunedì e, se a Roma un amore nasceva, quello stesso giorno, un altro grande amore si spegneva: Boris Pasternak.
A Luco Trenta, Pasternak piaceva tanto. Aveva letto il dottor Zivago non si sa quante volte.
Amava le sue poesie e quel 30 maggio 1960, mentre stava seduto sulla linea 30 che da Monteverde andava a piazza Risorgimento, Luco pensava proprio a Pasternak e, senza farci caso, la sua mente cominciò a recitare alcuni versi:

Strappando i cespugli su di sé, come laccio, più violaceo delle labbra di Margherita, più ardente del bianco dell’occhio di lei, palpitava, trillava, dominava, raggiava un usignolo.

Margherita

Pensieri di versi apparsi all’improvviso e all’improvviso interrotti a causa di una frenata.
I libri gli piovvero sulle gambe, inaspettatamente, come quei versi, come quella frenata. Lo sguardo andò dai libri al volto di una giovane donna che si scusò.
Luco si alzò, l’aiutò, la rassicurò e mentre restituiva i libri alla giovane, si accorse che sulla copertina di un testo c’era un nome:
Margherita Gasperini.

Margherita e Pasternak


Si presentarono. Quel nome strappò i cespugli della sua disattenzione, la corteccia del suo cuore frastornato; si sentì sospeso tra i profumi di pioggia appena caduta e del ciliegio selvatico.
Ed era lì, attratto da Margherita, dal profondo dei suoi occhi scuri, da quei capelli che cadevano sulle spalle, dal suo viso che sapeva di buono.
Sembrava che si conoscessero da sempre.
Margherita non era mai riuscita a terminare di leggere il dottor Zivago. Ci aveva provato più volte, a dire il vero. A Luco piaceva quella sincerità di lei che non tentava di ostentare niente ma si presentava così, come era.
Cominciarono a frequentarsi, tutto fu spontaneo.
Luco aveva il suo lavoro come tipografo e Margherita di ricercatrice.
Appena potevano, si davano appuntamento e visitavano Roma, camminavano per le ville, parlavano e parlavano.
Ma quanto avevano da raccontarsi!

Gli appuntamenti sotto la lampada Osram


Alcune volte si davano appuntamento anche sotto la lampada Osram, quando soprattutto si trovavano in giro per Roma.
La lampada era stata appena messa, c’erano le olimpiadi a Roma però Luco e Margherita avevano in testa altro.
Le uniche eccezioni furono fatte nella notte in cui corse Abebe Bikila, per vedere la spettacolare 200 metri dell’elegante e incredibile Livio Berruti e per la staffetta emozionante di Wilma Rudolph.
Sembrava una Roma in festa, ma la festa era soprattutto nei cuori e nella vita di Luco e Margherita.
Avevano atteso trenta anni per incontrarsi, eppure non abitavano nemmeno tanto lontano l’uno dall’altra.

Via Laura Mantegazza – Via Paola Falconieri.

Matrimonio

Si era giunti ormai a novembre e cominciarono a parlare di matrimonio.
Perché attendere ancora?
Margherita però doveva partire per il Canada perché le sue ricerche erano lì che la portavano, verso Vancouver Island. Dunque, partì.
Quando tornò da quel viaggio, era cambiata.
Non voleva nemmeno saperne di sposarsi in chiesa.
Era diventata taciturna, a volte rimandava gli appuntamenti. Parlava sempre meno, fino a quando decise di ripartire per il Canada e di non tornare più.

La partenza di Margherita


Il 30 maggio del 1960 aveva incontrato Margherita e il 30 dicembre aveva saputo che era partita.
L’attendeva ogni giorno.
La sua amata era scomparsa nel nulla.
Cominciò a mettere i soldi da parte. Pensava di andare in Canada e di cercarla. Anche la famiglia di lei lo esortava e non sapevano spiegarsi una simile decisione da parte della figliola.
In realtà, Luco parlava sempre e solo con il signor Gasperini.
La madre di Margherita era molto silenziosa, sembrava preoccupata, taceva.
Poi cominciò a non andare più a trovarli, era diventato penoso.
Se il loro era un amore tanto grande, perché l’aveva lasciato?
Era stato troppo, un incanto, era andato di corsa e forse lei non era pronta per il matrimonio.
Però era stato tutto molto spontaneo e bello. Non poteva essere.
Non poteva essere nemmeno che si fosse innamorata di un altro perché glielo avrebbe detto.
Margherita non era capace di tradire. Se lo sentiva.
Allora?

Dove era andata Margherita?


Sembrava che fosse andata in Canada per occuparsi degli affari materni. Così aveva capito. Luco sentiva che c’era qualcosa sotto di molto brutto e pericoloso.
Non era tranquillo. Si era fatto dare l’indirizzo della zia di Margherita a Vancouver e le aveva scritto più volte.
Ricevette un biglietto di auguri per il suo compleanno e poi un altro biglietto in cui comunicava che si sarebbe fermata in Canada per un tempo indeterminato e non poteva dirgli altro. Chiedeva di non raggiungerla e lo ringraziava per quei mesi felici, sicuramente i più belli della sua vita.
Quel biglietto però veniva dallo Yukon.
Luco cominciò a documentari sul Canada, sullo Yukon e scoprì l’orrore dell’orrore che più orrore non si può.
Era il 30 di un mese che nemmeno si ricordava, perché aveva perso la nozione del tempo.
Quella notte si mise davanti allo specchio dell’armadio e non contò 10 volte e ancora 10 e poi 10.
Non contò. Si coprì il volto e pianse come mai aveva fatto in 30 anni di vita.
Poi, aprì l’armadio e lì si nascose.
Un armadio vuoto, senza nemmeno una sedia su cui accasciarsi.

Abbi cura di te
Emily

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22 Comments

  1. Un racconto straordinario. All’inizio sembra solo un gioco di parole e invece…quello che non mi è chiaro, cosa è questo orrore di cui parli

    1. Ciao Fiore, grazie per il commento
      Il racconto fa riferimento al genocidio dei nativi americani, canadesi precisamente e che secondo alcune fonti, iniziò nel 1863 e terminò nel 1998. Una storia orribile, tenuta nascosta per molto tempo. Se cerchi in ternet, trovi degli articoli.
      Abbi cura di te
      Emily

  2. Che racconto incredibile e il modo di raccontarlo è bellissimo

    1. Fulvio, grazie per il commento
      Abbi cura di te
      Emily

  3. Maurizio says:

    La storia si riferisce a quegli orrori nelle scuole cattoliche vero? Terribile

    1. Ciao Maurizio, esattamente: si riferisce ai bambini uccisi nello Yukon.
      Grazie per il commento
      Abbi cura di te
      Emily

  4. Mariella says:

    Che storia. La lettura prende dall’inizio alla fine. Anzi alla fine la curiosità è anche più forte. Ma che era successo in Canada?

    1. Mariella, grazie per il commento. Come ho scritto nelle risposte precedenti, si riferisce al genocidio in Canada.
      Abbi cura di te
      Emily

  5. Che racconto particolare un gioco tra parole, numeri e anche sentimenti. Che succede a Margherita?

    1. Ciao Berto, grazie per il commento.
      Margherita scopre ciò che sta succedendo in quella parte del Canada e decide di fare qualcosa.
      Un caro saluto
      Emily

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