Racconti

Il campanellino re. Una storia di ricordi e d’amore

Il campanellino re

Racconto 2012-2013

Le vacanze dai nonni

Il campanellino re

Quando ero piccolo, andavo in vacanza dai nonni giù in Sicilia.
La Sicilia l’avevo immaginata tutta al mare, come se tutte le città si trovassero sulla costa, senza un entroterra.
Invece, le vacanze con i nonni, non significavano “mare”.
Abitavano ad Agira, nella provincia di Enna. La loro casa si trovava dalla parte bassa del paese, vicino all’Abbazia. Andavo giù appena finivo la scuola e stavo con loro tutta l’estate. I miei venivano solo per il mese di agosto.
Andavo giù in treno con mio zio. Facevamo il viaggio insieme. Mio padre prenotava la cuccetta e quindi viaggiavamo durante la notte. Arrivavamo a Catania all’ora di colazione, presto.
Poi prendevamo il bus che ci portava ad Agira.
Qualche volta invece scendevamo alla stazione di Dittaino, se c’era qualche parente che veniva a prenderci.
Andare ad Agira per me, significava viaggiare verso l’ignoto, in terre sperdute.
Col tempo, mi abituai e, mi abituai anche al suono del dialetto.
Mi piacevano i miei nonni e mi piaceva stare con loro. Peccato che le vacanze finivano presto.

I nonni

Il campanellino re


Mia nonna mi è sempre sembrata uguale. Non sapeva parlare in italiano o forse non si sforzava più di tanto. Aveva frequentato fino alla quinta elementare. Avrebbe voluto studiare nonna Maria ma i genitori non lo permisero. Era una femmina e le femmine stavano in casa e si sposavano. Si sposò infatti mia nonna, con nonno Mario quando aveva 21 anni e lui ne aveva 33. Mio nonno era bello, alto e forte. Anche lui non aveva studiato. Aveva frequentato fino alla terza elementare e poi s’era dovuto rimboccare le maniche perché suo padre morì che lui era piccolo.

Mio nonno era saggio, un uomo che sapeva tante cose e non sembrava affatto una persona ignorante. Anzi, sembrava che sapesse tantissime cose. Era stato a lavorare in Germania, in una fabbrica di bottiglie per la birra. Poi era tornato perché mia nonna non voleva lasciare la Sicilia. Al ritorno, comprò tutte le terre dai suoi fratelli, ristrutturò la casa materna e continuò a fare il contadino.
Andava tutti i giorni in campagna e ci andava a piedi se non rimediava un passaggio. Alcune terre stavano a Mangiagrilli e altre verso San Giorgio. A Mangiagrilli c’era anche una casetta. Alle terre di San Giorgio c’erano solo alberi da frutta. S’alzava presto perché col sole non si poteva più lavorare bene. Ma lui lavorava anche col sole. Andava in campagna verso le quattro. Alcuni giorni tornava per l’ora della mia colazione, ossia verso le nove e mi portava il latte fresco.
Mi raccontava tante cose: della vita in campagna, di quando era stato emigrante in Germania, dei suoi fratelli e dei suoi genitori. Qualche volta mi diceva delle parole in tedesco e a me sembravano buffe. Giocavamo a carte e a dama, la sera dopo cena.
Mi ha insegnato a non barare.
Io infatti cercavo di barare e lui mi diceva:
Guarda bene, impara le mosse.
Oppure:
Impara a contare i punti e stai attento alle carte che sono uscite.
Alla fine imparai e cominciai pure a vincerlo.
E lui era contento.

La fiera del lunedì

Il campanellino re


Il lunedì mattina c’era la fiera ad Agira, ossia il mercato. E mia nonna ci andava sempre. Un lunedì mi portò con lei perché voleva comprarmi delle magliette e voleva “accattare”, come diceva lei, qualcosa per i miei genitori.
Nonna Maria andava ogni lunedì alla “feraluni” come la chiamava e comprava tovaglie, lenzuola e altre cose che poi metteva in una cassapanca.
Nonno si lamentava per i soldi che nonna spendeva.
C’era una cassa in quella che era stata la stanza del mio papà e dove dormivo io quando stavo dai nonni.
La cassa si trovava sotto un tavolo ed era piena di cose che ogni tanto la nonna tirava fuori per fare i regali:  se per esempio si sposava una nipote o la figlia di qualche parente o se nasceva qualcuno.
Con i parenti non sono mai stato bravo. I miei nonni avevano un intero paese di parenti e a parte quelli più stretti, poi non ho mai capito chi fossero gli altri. Facevo subito, perché sapevo che quando andavo a San Giorgio, erano tutti parenti.
Mi piaceva stare con la mia nonna, mi raccontava tante storie e mi portava in chiesa.
Mi piaceva andare in chiesa, perché me ne andavo a giocare con il biliardino, a calcetto o con le bilie, con gli altri ragazzi.
Ma se andava alla messa la mattina presto, ero fregato e perciò speravo sempre che andasse alla vespertina.
Non mi piaceva invece andare alla fiera del lunedì perché c’era troppa confusione. A me piaceva solo il primo banco, quello che vendeva le musicassette.
Le dicevo:

Nonna lasciami qui e quando finisci il giro, mi vieni a prendere.
Non mi lasciava.
Non ti piace stare con la nonna? mi chiedeva, lamentandosi.
Così la seguivo per non farle dispiacere.

Volevo andare in campgna

Il campanellino re

Fu ad una “feraluni” che ebbi l’idea di andarmene in campagna con mio nonno.
Andavamo al mercato a piedi, naturalmente. Era vicino a casa nostra e il primo banco era quello delle musicassette. Quel giorno, il venditore  aveva messo su quella  di una raccontastorie, era infatti la voce di una donna. Conoscevo quella storia perché me l’aveva raccontata il nonno. Fu così che pensai di trascorrere più tempo con il nonno anziché con la nonna. Quando ero più piccolo mi piaceva stare con lei ma cominciava a soffocarmi con tutti quei baci. Non ero più piccolo. Anche mio nonno le diceva di lasciarmi un po’ in pace. Ma lei gli rispondeva che ero “nico”, cioè piccolo.
Così, quel lunedì, mentre mi tirava fra i banchi e le bancarelle del mercato, le chiesi se potevo andare in campagna col nonno.
Con il suo solito lamento, tornò a chiedermi se non mi piacesse stare con lei.
Nonna, certo che mi piace. Però voglio andare in campagna, le dissi risoluto.


Va bene, lo diremo al nonno appena saremo a casa.

Il campanellino re


Quando tornammo a casa, la nonna dimenticò di parlarne al nonno.
Come accadeva ogni lunedì, la casa dei nonni si popolava di parenti che venivano da San Giorgio per la fiera. La nonna preparava da mangiare per tutti e per non confondersi, “mi confunnio” come diceva, si concentrava solo sul da farsi e non aveva tempo per altro. La quiete tornava nel pomeriggio, quando tutti se ne andavano sazi di cibo e di chiacchiere.
Quel pomeriggio, a calma ritrovata, la nonna mi chiamò e mi portò al piano di sotto. Scesi e nonna Maria tirò fuori una cassa che non avevo mai visto. Aprì la cassa e prese da un angolo, un’altra cassettina piccola dove dentro c’era un campanellino e disse:
Questo è un campanellino speciale. Se lo suoni, arriva l’Airone-Re.
Non aggiunse altro.
Presi il campanellino e la ringraziai. Pensai che quello dovesse essere un oggetto prezioso se la nonna lo conservava in quel modo.
Mi raccontò che le fu regalato da sua nonna quando aveva la mia età.
Le sorrisi, l’abbracciai e non mi sentii più arrabbiato con lei per la questione della campagna. Pensai che a cena ne avrei parlato io al nonno.
A cena ne parlammo infatti e fu stabilito che il giorno seguente sarei andato in campagna con nonno Mario.
Non c’è bisogno che ti alzi presto. Possiamo andare verso le 7 e abbiamo anche un passaggio, mi disse il nonno tutto contento.
Dopo cena, aiutai la nonna a riassettare la cucina. L’aiutavo sempre anche in altri piccoli lavoretti. Misi il sacchetto della spazzatura nel secchiello che poi nonna faceva calare con una corda dal balcone.
Giocai a carte col nonno e fui anche contento di perdere. Diedi il bacio della buona notte ad entrambi e lasciai che la nonna mi baciasse a suo modo. Portai da mangiare al gatto, Mirko (mia nonna chiamava tutti i gatti Mirko) e me ne andai a dormire.

In campagna con nonno

Il campanellino re


Non vedevo l’ora che arrivasse la mattina.
Prima delle sette, nonno mi chiamò.
La colazione era pronta e mia nonna aveva preparato dei panini e bottiglie di acqua.
Presi anche il campanellino che nonna Maria m’aveva regalato e scesi. Il nonno era già giù, parlava con il signore che ci accompagnò a Mangiagrilli.
Quella mattina vidi anche altri contadini che tornavano dalla campagna con lo sceccu, ossia con l’asino, oppure con il mulo.
Uno si fermò proprio sotto casa nostra e si mise a parlare con il  vecchio che intrecciava i cesti.
Era una bella giornata. A me le giornate in Sicilia sembravano tutte belle.
Quella mattina, per la prima volta, mi accorsi che il cielo della Sicilia non era come quello di Roma. Aveva ragione mia madre quando diceva che le luci della Sicilia erano le migliori per dipingere.
Quel giorno mi accorsi di tante cose.
Mi accorsi che volavano tante rondini, che il sapore della frutta che mangiavo in campagna non era lo stesso della frutta che mangiavo a casa mia. Mi accorsi che tutto profumava intorno a me.
Arrivati a Mangiagrilli scendemmo dalla macchina e nonno s’accordò per il passaggio del ritorno.
Tanti passi faceva il nonno e tanti ne facevo io. Lo seguivo ovunque.
Immaginavo che mio padre, un giorno, sarebbe diventato come il nonno. Mio padre era sempre impegnato, lavorava tantissimo e certe volte nemmeno lo vedevo perché rincasava tardi ed io ero già a letto.
Mio padre non aveva tanto tempo per me. Somigliava molto al nonno, era forte, però era un po’ più magro e sembrava più alto. Ma del nonno, aveva lo stesso sorriso. Solo che il nonno aveva più tempo per sorridere, forse, perché sorrideva di più.
Te l’ha regalato la nonna quel campanellino, disse ad un tratto.
Sì, mi ha detto che se lo suono, arriva l’Airone Re.
Sorrise il nonno: Eh, tua nonna…sai come sono le donne, sempre dietro a queste cose e poi a furia di andare in chiesa, ormai… Con tutto quello che le cuntano i parrini.
Sì, con tutto quello che raccontano i sacerdoti… Così mi parlava nonno Mario, un po’ in dialetto e un po’ in italiano. Lo capivo sempre e imparai a capirlo di più quando smise di sforzarsi perché ormai era sicuro che lo intendevo perfettamente.

Le idee dei miei nonni

Il campanellino re


Mio nonno in chiesa ci andava solo qualche volta, per non sentire la nonna. Nonna Maria ci andava quasi tutti i giorni.
Mio nonno credeva in Dio ma non ai preti, ai parrini come diceva lui.
I parrini non li sopportava proprio. Facevano parte dei magiapaneatradimento.
Mia nonna credeva nel Signruzzu e pure ai preti che erano uomini santi.
Quando mio nonno le diceva che non erano santi ma uomini come gli altri e che il parroco aveva pure la donna, allora mia nonna s’arrabbiava e gli rispondeva che la perpetua, una donna santa era e che aveva dedicato tutta la vita al Signruzzu.
Mio nonno cambiava discorso perché diceva che con la nonna non si poteva ragionare.
Hai la testazza dura, concludeva lui.
Cominciai ad andare in campagna con nonno ogni volta che era possibile.

Bellezza

Il campanellino re


Un giorno, andai sulla parte più alta delle terre di Mangiagrilli, vicino alla casetta e suonai il campanellino. Non si vide nessun airone. Mi accorsi però della grandezza di quel luogo, del silenzio e del vento. C’era un vento che mi faceva star bene.
Mi sentivo contento come se appartenessi a quel luogo da sempre. E fui contento che quella parte della Sicilia non fosse al mare ma lì, dove si trovava.
Andammo verso le Serre di San Giorgio e nonno mi fece vedere le tane dei conigli. Era pieno di conigli selvatici, lepri, civette e gufi. Le terre di San Giorgio mi davano la sensazione di trovarmi in un fondale marino senz’acqua. Difficile da spiegare, ma era proprio questa la sensazione.
Nonno diceva che quelle terre erano più fertili di quelle di Mangiagrilli.
In realtà mio nonno avrebbe saputo rendere fertile anche il deserto. Cresceva tutto quello che piantava, sia a Mangiagrilli che a San Giorgio.

Arrivo dei miei genitori

Il campanellino re

Eravamo ad agosto, stavano per arrivare i miei genitori e saremmo andati al mare.
La nonna preparava il pranzo e si impegnava come quando arrivava il lunedì.
Quando si impegnava, si trasformava ed era meglio non disturbarla per non farla confondere.
Mia madre non riusciva a stare in casa chiusa con la nonna più di un giorno, anzi, anche meno. Diceva che la nonna era come la radio, solo che nessuno poteva spegnerla.
E infatti nonna Maria parlava, parlava e non stava mai zitta.
Anzi, stava zitta solo quando mangiava. Sì, quando mangiavamo, non prendeva parte ai discorsi se non con qualche cenno o qualche suono che stavano ad indicare un assenso o un diniego. Per mia nonna, il momento del pranzo, era sacro. A cena, era meno silenziosa. Poi, parlava sempre e in continuazione anche se c’era davvero la radio accesa o la televisione.
Mia madre amava la Sicilia, le piaceva passeggiare, stare con me e con papà e le piaceva dipingere. A differenza di papà, le piaceva andare in campagna ma solo a Mangiagrilli.

Gli aironi

Il campanellino re


Il giorno dopo del loro arrivo e, quello prima della partenza per il mare, chiesi a mia madre di parlarmi degli aironi. Per quanto ci pensassi e mi sforzassi, non riuscivo a raffigurarmi un airone. Forse l’avevo anche visto su qualche libro. Non mi pareva di averlo visto allo zoo di Roma, non ero sicuro.
Chiesi a mia madre di disegnarne uno. Fu sorpresa dalla mia richiesta e fu anche contenta. Mi fece sedere sul suo banchetto e mentre controllava la scatola dei colori, mi raccontò di Aztlàn, della terra degli aironi, della città bianca. Mi raccontò che gli Aztechi avevano lasciato la loro terra perché un veggente aveva sognato che dovevano mettersi in viaggio e seguire la migrazione degli aironi fino al luogo dove un’aquila combatteva con un serpente. Fu così che gli Aztechi seguirono gli aironi fino in Messico, fin su un’isola dove videro un’aquila combattere con un serpente.
Mi raccontò che l’airone era un uccello importante anche per gli antichi Egizi. Questi credevano che attraverso una formula magica, i morti potessero trasformarsi in un airone. Me ne disegnò uno tutto bianco sul mio quaderno delle vacanze.
Partimmo per il mare. Quell’anno però non mi divertii come le estati precedenti. Volevo tornare da nonno. Non vennero i miei amici. Vicino alla nostra casa, c’era una famiglia che aveva due gemelli della mia stessa età: Matilde e Andrea. Vivevano in Germania ma trascorrevano le vacanze in Sicilia, come noi. Mi trovavo bene con loro, eravamo diventati amici. Anche i miei si trovavano bene con Salvo e Giusy, i genitori dei gemelli.
Quell’estate non vennero e non mi fu difficile lasciare il mare per tornare ad Agira.

Le terre

Il campanellino re


In genere mi dispiaceva lasciare i miei amici e tornare al paese. Anche perché significava che le vacanze erano ormai al termine.
Quando tornammo ad Agira, chiesi il permesso a mio padre di poter andare in campagna con il nonno tutti i giorni, fino alla fine delle vacanze. Significava per una settimana ancora, quasi. Il permesso mi fu accordato e s’aggiunse anche la mamma.
Così. Alla fine, si aggregò anche mio padre che in campagna non andava volentieri. E nonno, di questo si lamentava. Diceva che quelle terre, un giorno, sarebbero state di mio padre e di mio zio, però non se ne interessavano. Mio zio in Sicilia ci veniva solo una volta all’anno. In pratica, quando accompagnava me. Si fermava qualche giorno e ripartiva. Trascorreva le vacanze con la sua fidanzata di Milano e zia Mirella a casa di nonna Maria non ci veniva quasi mai.
Nonna si lamentava perché mio padre aveva sposato una romana e mio zio stava per sposare una milanese.
E aggiungeva: Non ci sono caruse in Sicilia?
Le caruse, sono le ragazze.
Mio padre e mio zio avevano lasciato la casa paterna per andare a studiare all’università  e poi a Roma c’erano rimasti.
Nonno invece si lamentava a causa dei pastori e non li sopportava ma non ci litigava, anzi si raccomandava dicendomi che era meglio non averci a che fare, perché era gente tinta. Proprio tali li definiva.
Nonno Mario era un contadino e suo padre era stato un contadino, così il padre di suo padre. Quelle terre erano di loro proprietà da generazioni. Ci capiva di campagna, mio nonno. Sembrava che con la terra ci parlasse. Cresceva tutto quello che seminava e piantava. Lavorava tanto. Non c’era acqua alle terre e nonno costruì un pozzo. Era però generosa di grosse pietre la terra di Mangiagrilli. Nonno le aveva tolte, una per una e le aveva messe intorno alla casetta. Poi aveva piantato l’orto e la vigna. Piantava i pomodori, li raccoglieva e nonna faceva la salsa e alcuni li faceva seccare al sole.
Nonno raccoglieva l’uva e faceva il vino. Raccoglieva le olive per l’olio, il frumento per la farina. A casa dei miei nonni c’erano mandorle, noci, carciofini e melanzane sott’olio, fichi secchi. Ogni ben di Dio, diceva mio padre. E a casa nostra, i miei genitori non hanno mai consumato olio se non quello delle terre di Mangiagrilli.
Ricordo i fichi d’india e come nonno li sbucciava senza farsi male. Con i fiori bianchi essiccati, mia nonna preparava le tisane.
Ricordo il profumo dell’arieno ossia dell’origano e delle arance vaniglia. Quei profumi sono vivi dentro di me oggi come allora.
L’estate stava finendo.

Il quadro della mamma

Il campanellino re

Un giorno mamma mi regalò un piccolo quadro. Rappresentava la campagna di Mangiagrilli con la casetta e, sull’altura, vicino alla casetta, stavo io con il campanellino e un bell’airone bianco veniva verso di me.
Era la prima volta che la mamma mi regalava un quadro. Era bellissimo. Senza sapere che quello stesso giorno l’avrei perso.
Infatti, quel giorno, nonno approfittò della presenza di mio padre che poteva accompagnarlo in campagna. Così andammo, prima di pranzo, pure alle terre di San Giorgio. Lasciammo tutte le cose a Mangiagrilli, tanto poi dovevamo tornarci.
In macchina, nonno prese a parlare dei pastori e dei suoi timori.
Quando non ci sarò più, vendete le terre, altrimenti i pastori se le prenderanno, si raccomandava nonno.
Diceva che i pastori erano trasandati, lasciavano che le pecore se ne andassero a pascolare sui terreni altrui mentre loro se ne stavano al bar a giocare a carte e a bere birra.
Vendete perché è meglio non litigarci con questi furfanti, finiva col dire il nonno.
Mio padre non commentava. Ascoltava e basta.
Nonno Mario non aveva paura di niente e di nessuno, proprio per questo preferiva evitare qualsiasi litigio. Era una persona calma ma guai a fargli un torto o una ingiustizia. Anche i pastori lo sapevano, perciò gli regalavano sempre il formaggio o il latte fresco, per riparare ai danni che le pecore e le capre combinavano quando buttavano giù i recinti.
Il nonno aveva messo l’orto e la vigna in modo che le capre non potessero entrarvi.
Con quelle non si è mai sicuri, diceva il nonno.
Mia madre non riusciva a comprendere come mai lì non venisse rispettata la proprietà privata e perché, nonostante le denunce, nessuno prendeva dei provvedimenti.
Il cruccio dei pastori indisciplinati e irrispettosi, mio nonno l’aveva davvero e li definiva dei farabutti. Sapeva di alcuni contadini che avevano messo degli spilli nelle fave. Avevano bagnato le fave e poi avevano messo in ognuna uno spillo e le avevano sparse sui campi. Il sole le asciugava e  le pecore, dopo averle mangiate, erano morte. Mio nonno aveva troppo rispetto per gli animali per concepire una cosa simile. Quindi, fino alla fine dei suoi giorni, cercò di mantenere un rapporto civile con i pastori. Ma quelli di civile avevano ben poco. Ricordo addirittura che una volta, in un terreno non molto lontano dal nostro, fu trovato un uomo ucciso. Si raccontava che fosse stato un delitto d’onore. Mio nonno diceva che quelli l’onore non l’avevano nemmeno sotto le scarpe.
Proprio il giorno in cui la mamma mi aveva regalato il quadro, mentre noi ci trovavamo a San Giorgio, le pecore e le capre finirono sulle nostre terre e buttarono giù i recinti.
Al ritorno, le trovammo che pascolavano tranquille. Mio nonno e mio padre si diedero da fare per cacciare il gregge. A nonno non sembrò strano che non ci fossero i pastori, ma si preoccupò perché non c’erano i cani.
Mentre nonno diceva questo a mio padre e mentre rincorrevo un agnellino più per giocarci che per cacciarlo, vedemmo arrivare i pastori ed erano disperati. Vicino alla fontana dove facevano abbeverare le bestie, avevano trovato i loro cani uccisi e alcune pecore sgozzate. Noi, quella fontana non potevamo vederla perché lì davanti ci passavi se venivi da Agira e non da San Giorgio. Ma i mali per i pastori non erano ancora finiti. Mentre stavano parlando con i miei, mi accorsi che la loro stalla stava bruciando. Avevano cercato di dar fuoco anche alla loro casa ma non ci riuscirono. Li aiutammo a spegnere il fuoco. Certo qualcuno s’era vendicato.

Il quadro perduto

Il campanellino re

Ora non ricordo bene come accadde ma, in tutto quel trambusto, dimenticai il quadro che la mamma mi aveva regalato. Penso che lo dimenticai sotto il grande noce. Non me ne accorsi subito perché avevo visto i miei che mettevano le cose nel bagagliaio e così non mi preoccupai. Me ne resi conto solo il giorno dopo, quando in pratica eravamo già partiti per Roma. Mia madre era sicura che l’avessi preso io ed io credevo che l’avessero preso loro.
Allora capii che il quadro era rimasto a Mangiagrilli. I miei pensavano che fosse rimasto a casa dei nonni.
Mio nonno aveva detto che quell’anno era piovuto poco e speravo che non piovesse nemmeno in quei giorni.
Arrivati a Roma, chiamai il nonno e gli raccontai del quadro pregandolo di andare a prenderlo.
Il nonno però non andò in campagna perché lo avevano chiamato dall’ospedale di Enna per fare alcuni controlli. Quando tornò alle terre, non trovò il quadro e gli chiesi di non dire niente alla mamma: ci sarebbe rimasta troppo male.
Nonno mi promise che non le avrebbe detto niente e mi consigliò di raccontarle l’accaduto perché avrebbe capito. Ma non lo ascoltai.

L’estate seguente

Il campanellino re

Andai giù anche l’estate successiva. Nonno mi spiegò che aveva chiesto a più di qualcuno riguardo al quadro. Purtroppo era sparito. Così quando scesero i miei genitori, raccontai la verità e dissi quanto fossi dispiaciuto e addolorato. Mia madre mi abbracciò e disse semplicemente: Speriamo che non gli sia successo niente di grave.
Parlava dei quadri come se fossero delle persone.
Del quadro, non si fece più parola.

Le vacanze in Sicilia

Il campanellino re

Continuai ad andare in vacanza ogni estate in Sicilia e la nostra famiglia era aumentata. Avevo una sorellina, Sara.
Quando era troppo piccola, Sara veniva ad Agosto con i miei ma poi cominciò a venire con me e con lo zio. A Sara piaceva tanto venire in Sicilia.
Stavo crescendo e mia nonna diceva che ero più giudizioso.
A differenze di me, a mia sorella piaceva stare più con la nonna e il mercato del lunedì, per lei era una festa.
Io trascorrevo tanto tempo con il nonno e Sara con la nonna. Nonno mi portava anche alla società di San Filippo e conoscevo i suoi amici. Anche se nonno diceva che non erano amici ma conoscenti.
A sera ci ritrovavamo sempre insieme e i nonni ci raccontavano tante storie.

Il figlio del prete

Il campanellino re

In quei giorni tutti parlavano di un prete che aveva avuto un figlio con una ragazza del paese. I miei nonni era divisi sulla faccenda. Nonna diceva che era stata tutta colpa della ragazza e che l’aveva tentato quel povero parrino. Mio nonno diceva che la carne è carne e pure i parrini sono uomini come noi. Fatto sta che in tutta questa vicenda, il prete lasciò Agira e se ne andò in un convento verso il nord e la ragazza si vergognava pure di uscire da casa. Alla fine fu costretta a lasciare il paese, sola con il figlio, derisa e abbandonata. Le chiacchiere durarono a lungo, era un ciarlare ovunque. Vedevo le donne che ne parlavano fermandosi sui marciapiedi, se ne parlava nelle botteghe. Cominciavo a rendermi conto di quella particolare mentalità e di quanto mio nonno avesse ragione. Mi rendevo anche conto di tante ipocrisie. A me quella donna fece una grande pena e mio nonno diceva che quel parrino era un delinquente, lui e tutti quelli che lo difendevano.

Il campanellino re

Ricordo di aver visto la ragazza una volta e mi colpì perché, anche se c’era un gran caldo, teneva il suo bambino tutto coperto. Si vergognava poverina. Mio nonno diceva che dovevano vergognarsi tutti quelli che la giudicavano e che le parlavano dietro e nemmeno la salutavano. Le chiacchiere durarono per lungo tempo. In pratica finirono quando la ragazza lasciò Agira.

Cambiamenti

Il campanellino re


Quelle vacanze e quei tempi andavano terminando e le cose cominciarono a cambiare proprio quando mio padre accettò un incarico in Germania.
Andammo a vivere a Lipsia. Era caduto il muro di Berlino da poco tempo. Certo quando arrivammo a Lipsia, a me sembrò un altro mondo. Io e Sara eravamo convinti di conoscere il tedesco perché nel tempo, avevamo imparato le parole che nonno ci aveva insegnato. In realtà, ancora oggi, quando ne parliamo, ci viene da sorridere.
Il nonno conosceva il tedesco come l’italiano ma noi eravamo piccoli per capirlo.

La Sicilia era ormai lontana

Il campanellino re



So solo che la Sicilia ormai ci sembrava più lontana e irraggiungibile. Noi faticammo con la scuola e alla fine il tedesco lo imparammo davvero, così che potei essere ammesso al ginnasio. A Lipsia le vacanze avevano un ritmo diverso da quelle italiane. Per l’estate, non andammo in Sicilia e ad agosto eravamo di nuovo a scuola. Trascorremmo alcune settimane di luglio nel Trentino. Ci divertimmo e conobbi nuovi amici. Alcuni vivevano in Germania perché anche i loro genitori lavoravano lì, però stavano a Francoforte o a Monaco. Nessuno a Lipsia. Un mio amico addirittura diceva che quella non era Germania.

Lipsia

Il campanellino re


Col tempo, imparai ad amarla Leipzig, sembrava immersa nel passato. Aveva le case nere per il carbone.  Alcune sembravano fatiscenti.
Non potevamo nemmeno bere l’acqua dai rubinetti. Papà comprava l’acqua della Quelle.
Mi rimase impressa la scena della facciata di un palazzo. In pratica, avevano smontato tutto il palazzo e in piedi, stava la facciata che stavano restaurando.
Avevamo una casa in August Bebel Strasse. Era grandissima, con grandi saloni e un corridoio così lungo che ci si poteva andare in bicicletta.
C’era il lungo corridoio centrale e le stanze sui due lati. Avevamo due saloni e cinque stanze, due bagni, una cucina e un ripostiglio. Avevamo anche una cantina dove scaricavano il carbone. Quando nevicava. i davanzali delle finestre passavano dal candido al nero = neve + carbone. Tutto questo aveva un fascino per me e per mia sorella. Andavamo a scuola molto presto. A me non pesava perché mi ero allenato ad alzarmi presto quando andavo in campagna col nonno.

Il campanellino re: Lipsia non era Agira


Però Lipsia non era Agira.
Il cielo era quasi sempre cupo e poi che freddo! Ricordo che nel nostro primo inverno tedesco, la temperatura scese fino a venti gradi sotto lo zero. Le acque ghiacciarono. Davanti al Monumento dei Popoli si poteva pattinare.
La Sicilia aveva il sole caldo, le luci bellissime e non puzzava di carbone.
Mi piaceva andare a scuola in Germania, imparavo tante cose e il tedesco anche mi piaceva. Mio padre aveva più tempo per noi e qualche volta ci portava su un’altura a far volare gli aquiloni. L’avevo soprannominata, l’altura, “la collina dei conigli”.
In ricordo delle terre di San Giorgio, di Mangiagrilli e per il bel libro che il nonno m’aveva regalato.

Il campanellino re: vacanze di Natale


Durante le vacanze di Natale i nonni vennero a trovarci.
Fu una grande festa, soprattutto per il nonno che tornava in Germania dopo tanti anni. Commentò che dove era stato lui, a Düsseldorf, era un’altra Germania e che ci sarebbe rimasto per tutta la vita se non fosse stato per la nonna.

Il campanellino re

Trascorremmo dei bei giorni. Anche le vacanze di Natale terminarono e imparai che alcune cose finiscono mentre altre cambiano. Capitò anche un brutto episodio a mia sorella. Frequentava un gymnasium dove era l’unica straniera e i suoi compagni la trattavano malissimo. Un giorno l’insegnante di tedesco le chiese di distribuire dei fogli ai suoi compagni. Nessuno voleva prendere il foglio dalle sue mani. E, mentre, scendeva le scale, qualcuno la spinse. I miei si preoccuparono e subito andarono a parlare con la direttrice. Riuscirono a cambiarla di scuola e fu accolta in un altro istituto. Quei giorni mi sembrarono difficili ed ebbi anche una certa paura. Mi scosse molto quanto era successo a mia sorella. Giravano voci allarmanti. Si raccontava di un uomo di colore che era stato legato sui binari da alcuni naziskin, i quali avevano aspettato che il treno lo investisse. Li si vedeva ovunque: rasati, ubriachi, vestiti di nero e sempre in gruppo. Di ubriachi, Lipsia era piena. Un giorno mi capitò di vederne uno cadere dalla bicicletta e un’altra volta, un altro che vomitò nel tram. Li vedevi soprattutto verso la fine della settimana. I miei ci tranquillizzavano ma percepivo la loro preoccupazione. Per la Germania dell’est era un periodo difficile, molta gente aveva perso il lavoro, qualcuno faceva i conti con il passato, la città stava vivendo dei cambiamenti e anche noi ad essere sinceri.

Ciao nonno

Il campanellino re

Infatti, molto cambiò nella nostra vita perché nonno, durante quell’anno morì. Mio nonno è morto a causa della malasanità. S’era ricoverato per alcuni accertamenti e, al telefono, diceva a mio padre che da quell’ospedale non sarebbe uscito vivo. Diceva che gli davano delle medicine che lo facevano star male e quelle cure non andavano bene perché sentiva che le forze lo abbandonavano.
Mio padre chiamò l’ospedale per parlare con il professore che aveva in cura il nonno ma invano. Era andato ad un convegno. Il giorno dopo, ci arrivò la telefonata che nonno era morto. Partimmo tutti. Era il mese di ottobre e in Sicilia trovammo una giornata quasi estiva.
Fu fatto il funerale e tutti gli facevano il saluto a mio nonno, mentre lo accompagnavamo verso l’Abbazia. Per l’ultima volta, un tratto insieme, col mio grande nonno che non c’era più. Neanche c’eravamo visti quell’estate.
C’eravamo visti a Natale ed erano stati con noi fino alla fine di gennaio. Col nonno avevamo parlato di Mangiagrilli, della campagna. Avevamo giocato a carte e a dama. Ero diventato bravo, anche nel gioco degli scacchi. Quante cose mi aveva insegnato. Mio nonno non ha potuto studiare ma sapeva tante cose e non ho mai conosciuto un uomo tanto saggio. Era saggio e con il sorriso più bello del mondo. Anche mio padre ha quel sorriso, quando non è troppo preoccupato. Il giorno seguente al funerale, andai a Mangiagrilli fino a su, vicino alla casetta e suonai per l’ultima volta il campanellino. Volli credere che l’Airone – Re indicasse la strada per il cielo a mio nonno. Ma forse la sapeva già da solo. Non arrivò nessun airone. Era arrivato solo il momento di lasciar perdere fiabe e leggende.
Guardai verso il grande noce. Mi parve di vedere nonno che spostava qualche pietra. Mi accorsi che stavo piangendo e mi lasciai andare in quel pianto. Poi mi accorsi che era tornato il vento, lo stesso vento della prima volta che ero stato lì. Misi il campanellino in tasca. Mi asciugai il viso. Chiusi la mano come se volessi afferrare quel vento e con esso tutti i ricordi delle estati più belle della mia vita.
Mi fermarono i pastori per le condoglianze e dissero che mio nonno era sempre stato una persona di pace, una brava persona. Era proprio vero.
Già. Incontrai i pastori e pensai alle terre, ai timori del nonno. Mi voltai ancora. Ormai ero al cancello e mi parve di vedere che sulla casetta volasse un grande uccello.
Nonno ,dissi e mi venne spontaneo salutarlo.
Ciao,feci.
 Ciao, mi sentii rispondere.
Era papà che mi salutava. Era venuto a prendermi. Dovevamo ripartire.

Il campanellino re. Rientro in Italia

Alla fine dell’anno scolastico, tornammo in Italia.
Mio padre aveva terminato l’incarico a Lipsia e riprendeva il suo lavoro a Roma.
Conclusi i miei studi. Dopo la laurea, mi si offrì la possibilità di uno stage a Norimberga. La  vita mi riportava in Germania.
Dopo lo stage, cominciai a lavorare. Rimasi a Norimberga per tre anni e poi vinsi un concorso e mi trasferii a Berlino.
Dopo il primo anno che mi trovavo a Berlino, riuscii ad andare in Sicilia dalla nonna solo una volta.
Prima di ripartire, la nonna mi diede una scatola che aveva preparato e dentro c’erano alcune cose mie.
C’era il quaderno delle vacanze, quello con il disegno dell’airone della mamma e dove avevo scritto la storia degli Aztechi e della città bianca.
C’erano dei semi di alcune piante che mi aveva dato il nonno, delle conchiglie, una bottiglietta con la terra di Mangiagrilli, alcune foto e il campanellino.
Abbracciai la nonna che mi riempì di baci e partii.

Il campanellino re: Berlino


Prima di tornare a Berlino, mi fermai a Roma perché i miei mi avevano fatto una sorpresa: una macchina nuova.
Avevo la patente ma non amavo guidare. Mi piaceva camminare o prendere i mezzi. In Germania ci si muove molto bene con i mezzi pubblici. Avevano voluto regalarmi la macchina perché erano anni che non mi facevano un regalo.
In realtà di regali me ne hanno sempre fatti tanti. Il regalo più grande è stato quello della vita, di una famiglia, dei miei nonni.
Mi fermai a Roma e, tutto sommato, fui contento del regalo.
I miei mi fecero promettere che sarei andato piano, di guidare con prudenza, di fermarmi se mi fossi sentito stanco, ecc…
Mi fermai a dormire dagli amici di Trento che rividi con tanto piacere.
Ripresi il viaggio e giunsi a Berlino senza troppe difficoltà.
Cominciai ad usare la macchina, a camminare di meno e a prendere i mezzi solo qualche volta.
Presi anche l’abitudine di andare a Roma con l’auto.

Il campanellino re. Una mattina di primavera

Una mattina, eravamo già in primavera, uscii di casa, come tutte le mattine lavorative, per recarmi in ufficio e invece di prendere la macchina, me ne andai a piedi.
Avevo bisogno di camminare, mi sentivo inquieto, senza capirne il motivo. Arrivato al lavoro, mi comunicarono che mi aveva cercato qualcuno della mia famiglia. Io, allergico al telefonino… l’avevo dimenticato a casa. Trovai un appunto sulla scrivania. Durante la notte, mia nonna s’era sentita male ed i miei erano partiti per la Sicilia. Non riuscii a mettermi in contatto con loro se non a tarda sera. Mi dissero che le condizioni della nonna erano migliorate e che si sarebbero fermati per poterla accudire. Tirai un sospiro di sollievo e capii perché quella mattina m’ero sentito così strano.  In pratica, quella sensazione mi accompagnò per tutta la settimana.
Le condizioni della nonna non erano tanto stabili. Alla fine, i miei la portarono a Roma perché non poteva rimanere da sola ad Agira. Mi sentii un po’ più tranquillo, ma non del tutto. Decisi di partire e di prendermi le ferie che non avevo fatto.

Il campanellino re. A Roma


Arrivai a Roma ed i miei furono felici di vedermi. Mia sorella sembrava diversa, più bella. S’era innamorata. Ero contento per lei, tanto contento.
E tu quando ce la presenti la ragazza? domandò mio padre, scherzando.
Ogni tanto mi faceva questa domanda. Gli rispondevo con qualche battuta e tutto finiva lì. Ma quella volta, non fu così. All’improvviso mi sentii solo. Fu una sensazione particolare.
Gli anni erano passati in fretta, un bel lavoro, una bella casa, i miei.

Il campanellino re. La mia vita sentimentale

Da tempo, evitavo ogni storia sentimentale. Ero stanco di storielle che nascevano e finivano con troppa facilità. Ero davvero stanco di tante cose e avevo la necessità di rimettere in ordine la mia vita. Anche se la mia vita era fin troppo ordinata.
Già, fin troppo.

Nonna Maria
La nonna non stava a casa. Era stata ricoverata la sera prima perché non s’era sentita bene. Uscimmo per andare all’ospedale. Volevo vederla. E la vidi, la mia nonna.
Sembrava una bambina in quel letto d’ospedale. Avevo quasi paura di abbracciarla. Paura che si rompesse, che potessi farle del male.
Mi disse che mi stava aspettando.
Bieddu miu.
La mia nonna mi stava aspettando per salutarmi, un’ultima volta.
Ma questa volta fui io a darle tanti piccoli baci sulla fronte e sulle mani.
Non disse altro e si addormentò.
Quando morì mio nonno, vicino a quella casetta in pietra a Mangiagrilli, sentii che ero diventato grande.
Quando morì mia nonna, fra le mura dell’ospedale, mi sentii invecchiato e fu una sensazione terribile.
Andammo in Sicilia per mettere la nonna vicino al nonno. Mio padre e mio zio dissero che dovevano vendere la casa e le terre. Pregai la mamma di convincerli a non farlo.
A mio zio non interessavano le proprietà della Sicilia e in genere lasciava che mio padre prendesse tutte le decisioni che riguardavano la loro famiglia.

Il campanellino re


Tornammo a Roma e mi chiusi in una specie di silenzio. Trascorsi il resto delle ferie leggendo e scrivendo. Mia madre era preoccupata ma non diceva niente. Prima di ripartire per Berlino, mio padre mi disse che aveva messo in macchina alcune scatole che mi appartenevano
Sono quaderni, cartoline, lettere e alcuni libri, aggiunse.
Neanche ci feci caso più di tanto.
Salutai i miei e dopo le solite raccomandazioni, mi misi in viaggio.
Fu un viaggio particolare perché non mi fermai né a Trento, né a Monaco e nemmeno a Norimberga. Non mi fermai proprio se non per fare benzina, andare in bagno e per rinfrescarmi. Volevo arrivare a Berlino.
Una follia, certo ma più andavo avanti e più volevo proseguire. Viaggiai tutta la notte, mi fermai in Austria per fare benzina. Non c’era traffico, si viaggiava bene di notte. Solo, completamente solo sulla strada, solo in macchina, solo con i miei pensieri, con i ricordi.
In quella solitudine presi una decisione: sarei andato a vivere in Sicilia.
Certo, lasciare un buon lavoro come il mio, era da folli.
In Sicilia. E se me ne fossi pentito?
Tanti ricordi, tanti racconti, i discorsi di nonno Mario, il timore che i pastori combinassero dei guai, le giornate trascorse in campagna, il timore che papà e zio vendessero tutto… tutto questo s’avvicendava nella mia mente.

Il campanellino re. Ritorno a Berlino


Arrivai a Berlino quasi senza accorgermene e senza accorgermi del semaforo rosso che era scattato.
Frenai così bruscamente che il contenuto delle scatole si sparse nell’abitacolo della macchina. Mi spaventai. Accostai e scesi. Stava passando una ragazza che portava a spasso un cagnolino. Aveva visto la scena e mi si avvicinò credendo che avessi bisogno di aiuto. Aveva un vestito bianco e i capelli sciolti. Non so perché, pensai che fosse italiana e le parlai in italiano. Mi sorrise. Ebbi la sensazione di conoscerla già. Ci presentammo. Mi disse che veniva da Palestrina e studiava a Berlino. Chiacchierammo ancora un poco e poi, ringraziandola, la salutai.
Mentre stavo per andarmene, mi accorsi che il suo cane, aveva al collo un campanellino come quello che la nonna m’aveva regalato quando ero piccolo.
Mi spiegò che quel campanellino era un regalo di sua nonna.
Poiché non credo al caso, mi colpì moltissimo questo fatto.
Le chiesi se potevo chiamarla qualche volta. Mi rispose che aveva organizzato una cena con alcuni amici, niente di che, giusto per stare insieme ed ero invitato.
Mi diede l’indirizzo.

Il campanellino re. Rebecca


Vivevo a Charlottenburg e lei stava dalla parte opposta. Una zona di Berlino che non conoscevo bene, dalla parte est.
Accettai. Salutai Rebecca e rimanemmo che ci saremmo visti per la serata.
Arrivai a casa. Mi sentivo distrutto e pensai di aver sbagliato nell’accettare l’invito. Volevo stare da solo e poi il giorno dopo, dovevo tornare a lavoro. Mi accorsi che il giorno dopo era sabato e che avevo ancora due giorni prima di tornare al lavoro.
Chiamai i miei, assicurandoli che tutto era andato bene e non volevano credere che avevo fatto tutto il viaggio da Roma a Berlino senza fermarmi a dormire da qualche parte. Mi dissero che ero un incosciente ma erano contenti nel sapermi a casa, sano e salvo.
Feci una doccia, mi preparai un buon caffè e poi scesi a prendere i bagagli. Dovevo pure raccogliere il contenuto che s’era rovesciato dalle scatole. Raccolsi lettere, cartoline, disegni, quaderni, conchiglie, semi e…da una parte, sotto il mio sedile, c’era il Campanellino Airone Re.
Il mio pensiero andò a Rebecca e sorrisi. Mi trovai a sorridere ed era bello.

Il campanellino re. Rebecca e il mistero del quadro

La giornata volò. Avevo del lavoro da sbrigare, la casa da ordinare, la spesa da fare e l’ora di cena arrivò in fretta. Mi avviai verso l’altra parte di Berlino e giunsi a casa di Rebecca. Suonai e mi venne ad aprire, seguita dal suo barboncino nero tutto scodinzolante con il campanellino al collo. Mi piaceva Rebecca con i suoi capelli di seta, gli occhioni verdi e con un viso pulito. Una bella ragazza che mi faceva sentire a casa. Gentile e sicura nei modi, solare e semplice. Mi fece accomodare in una stanza grande e ben ammobiliata. Già erano arrivati tutti. Mancavo solo io. In tutto eravamo dodici persone. Ho sempre amato il numero 12.
Ad un certo punto mi sentii rapito, letteralmente catturato da un quadro.
Rebecca se ne accorse.
Ti piace? E’ il mio quadro preferito. Me lo porto sempre dietro.
Ero rimasto senza voce. Ammutolito. Non riuscivo proprio a parlare, come paralizzato.
Non so chi l’abbia dipinto, veramente. Vedi? E’ firmato Hondo. Non so se sia una donna o un uomo. Ho fatto delle ricerche ma non sono venuta a capo di niente. Ti intendi d’arte?
La guardai e non la guardai.
Ero lontano da lì. Ero sotto l’albero di noce, dove un giorno avevo lasciato un quadro.
Mi ripresi e cercai di controllare le emozioni.
E’ meraviglioso,  riuscii a parlare.
Quando ero piccola, guardavo questo quadro e… Vedi il bambino che suona il campanellino? Dicevo che un giorno l’avrei sposato. Naturalmente era una fantasia. Ho sempre pensato che chi l’ha dipinto, conosceva la leggenda del campanelli e dell’airone re.
Cosa?  domandai.
Una storia lunga, rispose.
Rebecca mi sorrise con tanta dolcezza.
Non chiesi altro e nemmeno come avesse avuto quel quadro. Neanche le chiesi della leggenda. Come al mio solito, mi rintanai dentro me stesso. Mia sorella mi diceva che non avrei potuto scegliere città migliore per vivere. Una città che ha come simbolo un orso!
Però mia sorella non sa quanto sia bello vivere a Berlino.
Decisi di non dire niente e la serata trascorse tranquillamente, in modo piacevole e la cena fu ottima.
Restavo incatenato a quel quadro, chiuso in tanti ricordi.
Quello era il quadro che mia madre aveva dipinto per me.
Quando fu l’ora di tornare a casa, Rebecca sembrava dispiaciuta. Non ne ero sicuro. Non ero nemmeno più sicuro di me stesso.
Pensò che non mi fossi trovato bene.
No, anzi, e non aggiunsi altro.
Chissà che figura da scemo stavo facendo, pensai fra me.
Invece Rebecca mi disse che le avrebbe fatto piacere incontrarmi e che se lo desideravo, potevo telefonarle, anche per chiacchierare un po’.
Altro che se volevo incontrarla. Altro che…
Tornai a casa, pieno di pensieri, più di quando ero arrivato a Berlino quella mattina.
E per di più, mi sentivo davvero stanco. Mi ricordai che non avevo dormito la notte precedente. Certo che ero stanco. Quella notte dormii profondamente e sognai i miei nonni.

Volevo telefonare a mia madre per raccontarle del quadro. Poi ci ripensai e preferii aspettare. Meglio chiarire la faccenda prima con Rebecca.
Il lunedì tornai al lavoro. La settimana fu piena di impegni e non ebbi tempo per pensare ad altro.
Non pensai nemmeno più alla decisione presa in auto durante il viaggio di ritorno. Tutto sembrava sospeso: il quadro ritrovato, la Sicilia, le terre, il mio futuro.
Il venerdì pomeriggio però decisi di chiamare Rebecca. Pensavo a lei, anche se non volevo. C’era un concerto jazz in un locale vicino casa mia organizzato dall’Ufficio Italiano per la cultura. Chiamai e la invitai per quella sera o per sabato sera se non poteva.
Invece per quel venerdì era libera e non lo era per la sera successiva perché doveva tornare in Italia.
Per sempre?  le chiesi.
No, solo per alcuni giorni.
Ah! Tirai un sospiro di sollievo.
Fui contento di rivederla. Il locale era pieno di persone e non riuscimmo a parlare. Prendemmo qualcosa da bere e alle fine dello spettacolo, visto che non era troppo tardi, le chiesi se voleva venire da me per un caffè o qualcosa di caldo. Non accettò.
Ci rimasi un po’ male. Ma feci finta di niente. Prima di salutarci mi disse: Ti richiamo appena tornerò dall’Italia. Se ti farà piacere, ceneremo insieme.
Certo. Volentieri. Posso accompagnarti?
No, non ti preoccupare. Posso andare da sola non è tardi. Devo passare da una mia amica che abita non lontano da qui.
Ci salutammo.

La leggenda del campanellino re

Rebecca rimase via alcuni giorni e poi il giovedì sera, mi chiamò. Era appena tornata. Fui contento. Mi invitò a cena da lei.
No, dai vieni tu. Avrai tanto da fare. A me fa piacere cucinare. Vieni tu da me. Ti vengo a prendere alla fermata. Avvisami quando stai uscendo da casa.
D’accordo, allora. Vengo io, grazie.
Avevamo fissato la cena per il sabato sera perché il venerdì avevo un lavoro da terminare.
Le andai incontro. La serata era fresca. Mi sentivo contento.
Mi disse subito che aveva portato una bottiglia di vino e una d’olio.
Spero di farti piacere. Questo vino e quest’olio sono della terra dei miei nonni.
Ah, bene. Grazie. Vengono dalle terre di Palestrina?
No. I miei nonni materni sono siciliani.
Di dove?
Di un paese al centro della Sicilia che sicuramente non avrai mai sentito nominare. Sono di Nicosia.
Di Nicosia? Ma dai, non è possibile.
Lo conosci?
Altro che.
In pratica eravamo arrivati.
A Rebecca piacque il mio appartamento.
E’ bello qui, accogliente e caldo. Ma quanti quadri!
Sono di mia madre.
Tua madre è un’artista. Sono bellissimi. Mi ricordano quello che ho io con questi colori così vivi.
E’ anche di questo che desideravo parlarti.
Sai chi ha dipinto il quadro del campanellino?
Lo so. Però prima voglio chiederti come hai avuto quel quadro.

E’ una lunga storia. Quel quadro me l’ha regalato mio zio Corrado. Lui era un avvocato e aveva difeso un pastore che era stato incolpato di non so cosa. Questo aveva perso tutto nel gioco e non aveva nemmeno i soldi per pagare mio zio. Così per sdebitarsi, gli regalò il quadro. Quando scendevo in Sicilia per le vacanze estive, andavo a salutare tutti i parenti. Sai com’è, nel sud. Andavo dai nonni e poi si faceva il giro di tutti ma tutti i parenti. Quel quadro mi piaceva tanto perché quel bambino aveva il campanellino come il mio. Così mio zio me l’ha regalato quando ho compiuto 18 anni.


Mi racconti la leggenda del campanellino?

Il campanellino che ora ha al collo Strauss, il mio barboncino, me l’ha regalato mia nonna Sara, quando ero piccola. Secondo la leggenda, quando due di questi campanellini suonano nello stesso momento, l’Airone Re arriva e ti porta l’amore.
Aspetta, le dissi.
Andai a prendere il mio campanellino che avevo recuperato sotto il sedile della macchina.
Le raccontai di quando mia nonna me l’aveva regalato.
Poi le raccontai la storia del quadro, della Sicilia… Tutta la mia storia.
Ascoltava commossa.
Le spiegai che mia madre si firmava Salice su tutti i quadri che aveva dipinto in Sicilia. Quadri che erano rimasti nella collezione della famiglia perché mamma non aveva mai voluto venderli.
L’unico che mancava era quello che avevo perduto io.
Parlammo tutta la sera dei nostri nonni, della nostra infanzia. Quanto avevamo da raccontarci!
Era come se non volessimo separarci. L’accompagnai a casa e stranamente, in macchina, eravamo diventati silenziosi.
Ci salutammo semplicemente. Tornai a casa contento e confuso allo stesso tempo.
Mi chiedevo se quella mattina in cui l’avevo incontrata per la prima volta, i nostri campanellini avessero suonato nello stesso momento.
Il giorno dopo le telefonai e il giorno dopo, ancora.
Cominciammo a frequentarci.
Una sera, telefonai a mia madre e le raccontai la storia del quadro.
Arrivò il mio compleanno. Organizzai una cena a casa mia e naturalmente invitai anche Rebecca.
Avevo invitato alcuni colleghi e amici. Erano arrivati tutti, mancava solo lei.
E arrivò, più bella che mai.
Era venuta col taxi. Aveva una scatola tra le mani.
E’ per te.
Grazie.
Non scartare il regalo subito. Anzi, scartalo domani.
Perché?
E’ una sorpresa.
Va bene.
Cenammo e parlammo. Rebecca sapeva farci con le persone.

Il campanellino re. L’amore

Si fermò, dopo che gli altri erano andati via. Mi aiutò a riassettare la cucina. Le raccontai di quando da piccolo aiutavo la nonna a sistemare la cucina.
Mentre così parlavamo e sistemavamo, le aprii il mio cuore. Le dissi che mi piaceva stare con lei e mi rendevo conto della differenza d’età. Rebecca mi interruppe e mi abbracciò. Ricambiava i miei sentimenti e me lo disse.
Le raccontai che mi sentivo confuso riguardo il futuro e della mia idea di tornare in Sicilia.
Mi consigliò di non aver fretta. Avrei capito cosa fare se non spingevo troppo gli eventi.
Non dovevo farmi prendere dall’ansia.
Continuammo a parlare tranquillamente, stringendoci le mani, uno davanti all’altra.
Rimase da me a dormire e strano dirsi, non dormimmo insieme. Sentivo un profondo rispetto nei suoi confronti.
Non c’è amore senza rispetto, le dissi.
I suoi occhi parlarono più di mille parole.
La mattina seguente, a colazione, aprii il regalo.
Scartai una prima scatola e poi una seconda. Nella terza scatola era stato messo, con cura, il quadro di me bambino.
Davide, questo quadro è tuo.

Ora è nostro, le dissi stringendola a me.

E mentre la stringevo, mi parve di vedere il sorriso dei miei nonni e ancora una volta, sentii tutto il loro amore.

Buona vita,
Emily

Potrebbe piacerti anche...

6 Comments

  1. Mariagio says:

    Letta tutta e che dire mi è piaciuta brava

    1. Grazie Mariagio e benvenuta
      Abbi cura di te
      Emily

  2. Vittoria says:

    Una storia emozionante piena di ricordi e belle immagini cambiamenti e sogni mi è piaciuta tantissimo ciao e a presto
    Vittoria

    1. Vittoria, grazie per il commento
      Abbi cura di te
      Emily

  3. Bello

  4. Grazie Saudia
    Un saluto
    Emily

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *