Racconti, Racconti a capitoli

11) La stirpe del drago

Romanzo Fantasy di Rebecca Bannò, 2005

XI Capitolo

Il Tempio del Vento

Dopo una lunga discussione, decisero di partire il giorno seguente.
Kéndall e Iemon erano gli unici a pensare di non perdere tempo e mettersi in cammino, ma gli altri optarono per il riposo.
Conoscevano il luogo in cui avevano condotto Ecra e, affrontare il nemico stanchi e senza un piano, li avrebbe condotti, sicuramente, al fallimento.
Fibius annunciò al gruppo che a pranzo ci sarebbe stato persino il re che, sino ad allora, era stato troppo occupato per ricevere i suoi ospiti, aveva incaricato il figlio di intrattenerli. Pura formalità!
Kéndall si era allontanato dagli altri, ritirandosi nella stanza assegnatagli.
Probabilmente i suoi compagni non comprendevano la gravità della situazione in cui si trovavano, dopotutto si stava parlando sempre di un Cavaliere Immacolato.
Iemon rimase silenziosa per il resto della mattinata, Nesca e Atemot provavano a darle conforto, ma nessuna parola serviva.
Elam e Naira, in attesa del pranzo, passeggiavano lungo i giardini del castello.
Erano viali costeggiati da aiuole ricolme di fiori di diversi colori, al termine di ogni aiuola era stato piantato un albero di melo. Proprio al centro del giardino c’era una fontana di marmo e, all’interno, nuotavano diversi pesciolini rossi.
«Sembra strano vero?», disse d’un tratto Naira.
«Cosa?», chiese a sua volta Elam.
«Essere qui. Sapere che ognuno di noi è legato all’altro. Conoscere il proprio destino».
«Non penso che per tutti sia così».
«Cosa intendi dire?».
Elam guardò Naira e una piccola smorfia le segnò l’angolo della bocca. Si sedette sotto un albero di melo, poggiando la schiena lungo il tronco, per poi stendere le gambe e fissare un punto indefinito di fronte a sé. L’elfa si accomodò al suo fianco.
«C’è una cosa che dovrei dire ad ognuno di voi. Non pensare che sia una decisione presa sul momento, anzi, ci ho riflettuto molto a lungo.
Tutto è partito da quando Erised ed io ci separammo da Kéndall …».
«Arriva al punto Elam!».
«Non posso più continuare questo viaggio».
Naira fissò l’amica. Di sicuro non si aspettava una decisione simile, sembrava volesse essere la prima a mettere la parola fine alla guerra.
«Non mi guardare in quel modo», disse Elam sorridendo.
«E’ che non so cosa dire. Insomma, io credevo che tu…».
«Sì, anche io – la interruppe – ma ho deciso e, ti prego di non insistere nel volermi far cambiare idea. Kéndall non lo ha fatto perché ha compreso che sono ferma nella mia scelta. Il viaggio termina qui, questa guerra non è scritta nel mio destino, diciamo che in tutta questa storia sono solo una comparsa, il fato si è servito di me per far incontrare voi con Kéndall».
«Capisco. Sappi comunque che mi dispiace, ma non dirò altro se è questo che vuoi. Vieni andiamo a mangiare».
Quando raggiunsero la sala da pranzo vi erano già Fibius, Iemon e Nesca; Atemot era andato ad avvisare Kéndall che il pranzo stava per essere servito.
La sala era piuttosto grande e vi si accedeva da una porta di medie dimensioni completamente di legno con incastonato un emblema che rappresentava una fenice. Il tavolo, piazzato al centro della stanza, era tanto lungo da poter ospitare almeno un centinaio di persone.
Solo una piccola parte di esso era stato apparecchiato per gli ospiti. Sul fondo della sala, proprio alle spalle di dove si sarebbe accomodato il re, vi erano quattro lunghe finestre che davano su un piccolo terrazzo.
Lungo le pareti della sala erano stati attaccati i ritratti dei re precedenti a Cisius, il padre di Fibius.
Elam e Naira si accomodarono nei posti a loro riservati, Iemon e Nesca preferirono attendere il re. Qualche minuto più tardi anche Kéndall e Atemot raggiunsero il gruppo.
Il Cavaliere Immacolato del Vento guardò Iemon per qualche istante, ma la ragazza non rispose al suo sguardo.
Nella sala poi entrò un garzone che si accostò al principe con un profondo inchino.
«Parla!», ordinò Fibius.
«Vostro padre, il re, mi manda a dire d’iniziare a mangiare senza di lui, farà un po’ tardi».
«Grazie! –congedò il garzone con un gesto della mano e poi tornò a rivolgersi ai suoi ospiti – Allora miei buoni amici vogliamo accomodarci?».
Tutti presero posto, rimase vuoto solo il capotavola ed era proprio quel posto che il principe si apprestava a fissare. Si era abituato al fatto che il padre fosse sempre così poco presente, soprattutto dopo la morte della madre.
«Allora, mangiamo?», disse Atemot, impaziente per la fame.
«Hai ragione!», mormorò il principe che con un battito di mani diede alla servitù il comando di iniziare a servire.
Sette uomini vestiti con lunghe tuniche rosse posarono di fronte ad ognuno dei ragazzi un piatto coperto, l’ottavo uomo, vestito con una tunica bianca, s’apprestò a versare del vino nelle coppe, poi si accostò al lato della porta, mentre gli altri servi s’allontanarono dalla sala.
I piatti contenevano aragosta, insalata e una salsa rosa.
«So che non è molto, ma vi garantisco che questo è il miglior pesce che si possa trovare!», commentò Fibius.
«Meglio di quello che potessimo aspettarci di questi tempi!», disse Atemot.
Iniziarono a mangiare in perfetto silenzio, ognuno intento a gustare una simile prelibatezza, ognuno intento a lottare contro le proprie preoccupazioni.
Un silenzio che venne interrotto dall’annuncio dell’ingresso del re.
Tutti i presenti nella sala si alzarono.
Il re entrò con passo deciso, avvolto da un mantello blu. Notarono subito la somiglianza tra Fibius e Cisius. Potevano affermare che il principe avesse staccato il volto al padre se non fosse per il colore degli occhi.
«Comodi ragazzi, comodi!», disse il re.
I giovani si accomodarono e Cisius fece lo stesso qualche secondo più tardi.
«Ho saputo della scomparsa della vostra amica, mi spiace molto. Non capisco come dei Cacciatori siano riusciti ad entrare nel mio regno senza dare nell’occhio, ma non vi preoccupate, ho raddoppiato la guardia!».
«Peccato non averci pensato prima», borbottò Iemon.
Il re fissò a lungo l’interlocutrice e poi annuì.
«Non potete che biasimare voi stessi! Siete Cavalieri Immacolati, non potete permettervi distrazioni. Dovevate aspettarvi che i Cacciatori si spingessero a tanto».
Iemon si sentì colpita nell’orgoglio e abbassò lo sguardo. Il ruolo di cavaliere le aveva insegnato che di fronte a determinate autorità, a volte, è meglio tacere.
«Vi ho comunque detto di non preoccuparvi!».
«E’ troppo tardi per chiederci di non farlo. Credo che nessuno qui dentro si renda bene conto della situazione, Ecra non è solo una nostra amica, è un Cavaliere Immacolato ed ora è nelle mani del nemico. Ed invece noi? Siamo qui intorno a questo tavolo a consumare aragosta e insalata. E poi: questa città? Siamo nel bel mezzo di una guerra e le uniche guardie che ho visto sono quelle alle porte del castello!». Le parole di Kéndall sorpresero un po’ tutti.
«Stai insinuando qualcosa ragazzo? Vuoi dire che non ho capacità a gestire il mio esercito? O vuoi solo scaricare su di me una vostra colpa?
Fai pure se preferisci, ma ricorda che non sono stato io a lasciare da sola la vostra amica», rispose con calma Cisius.
Kéndall socchiuse la bocca pronto a ribattere, ma ci ripensò, limitandosi ad allontanarsi dalla sala; Iemon lo seguì.
Gli altri presenti si guardarono imbarazzati prima di tornare al proprio pranzo.
«Kéndall, aspetta un momento!», disse Iemon.
«Mi dispiace per l’accaduto, ma…».
«Non dispiacerti, anzi, ti ringrazio. La situazione è insopportabile anche per me».
«Quell’uomo è… Aspetta un momento!».
«Che succede?», chiese Iemon guardandosi attorno.
Il ragazzo chiuse gli occhi concentrandosi solamente su quello che stava avvenendo nella sua mente.
«Kéndall mi senti?».
«Ecra, sei tu?».
«Kéndall, ascolta attentamente quello che sto per dire. Non venite a cercare me; non può toccarmi, ricordi la maledizione? Se mi seguite cadrete nella sua trappola. Non hai ancora capito? Vuole te più di ogni altra cosa! Piuttosto dirigetevi al Tempio del Vento: lì diventerai un Cavaliere Immacolato a tutti gli effetti».
«Non posso lasciarti sola!».
«Non discutere per una volta e fai come ti ho detto. Cosa credi? Anche io ho paura, ma voi siete più importanti di me. Mi fido di te!».
«Ecra, aspetta… Ecra?».
Kéndall riaprì gli occhi e trovò Iemon a fissarlo in attesa che lui parlasse.
«Vuole che andiamo al Tempio del Vento».
«Mia sorella?! Come sta? E’ ferita? Dobbiamo assolutamente andare da lei».
«No, questa volta Ecra ha ragione. Il signore Oscuro non può farle nulla. Avverti gli altri, spostiamo la nostra partenza a questa sera e non voglio discussioni», con ciò Kéndall si separò da Iemon.

Bussarono alla porta.
«E’ aperto», disse Kéndall mettendosi a sedere.
Elam entrò e posò uno sguardo malinconico sull’amico.
«E’ ora di andare!», disse lei.
«Va bene, sarò pronto tra un istante…».
«Kéndall, per me è giunto il momento di salutarti. Agli altri ho già detto addio, mi mancavi solo tu».
«Puoi accompagnarci di sotto».
«No, è già abbastanza difficile salutarti ora. Ti prego di non insistere», aggiunse prima che lui potesse proferir parola per contestarla.
«D’accordo allora… mi mancherai Elam!». Kéndall sorrise prima di stringere a sé l’amica.
Tutto era pronto: i cavalli erano stati sellati, nutriti e lavati; gli zaini preparati e le armi lucidate.
«Muoviamoci!», urlò Kéndall.
I sei cavalieri avanzarono sotto gli sguardi dei cittadini, Kéndall si voltò verso la finestra che apparteneva alla sua camera, e vide Elam.
Il ragazzo le sorrise e la giovane lo salutò con la mano.
Rimase a guardarli fino a che non scomparirono.
«Andiamo verso Ovest, è lì che ci attende la prossima missione», disse Kéndall.
Il resto del gruppo annuì, l’unica a rimanere impassibile e guardare verso Nord era Iemon, era quella la strada che avrebbero dovuto seguire…
Ben presto giunse la notte.
«Sono allo stremo delle loro forze! – esclamò Atemot preoccupato per i cavall i- Questo caldo li sta uccidendo»
«È solo l’inizio», mormorò Fibius.
«Cosa vorresti dire?», domandò Iemon.
«La terra dei Draghi è il luogo più caldo del mondo di Ianor, più andiamo verso Ovest e più il caldo aumenterà»
«Cosa provoca tutto questo calore?», chiese Kéndall.
«Il respiro del Drago», rispose il principe tranquillamente.
«Il respiro del Drago?!», esclamarono Naira e Atemot.
«Tranquilli, è solo una leggenda che si racconta per tenere lontano gli uomini da Soldruim».
«È una città?», domandò Atemot.
«Non proprio, è una fortezza. Al suo interno, da qualche parte, vi è nascosta l’entrata di una grotta che si dice sia ripiena d’oro, naturalmente sono tutte sciocchezze».
«Mia sorella dice sempre che le leggende hanno sempre un fondo di verità», disse Iemon.
«Qualcuno si è mai avventurato all’interno della fortezza?», chiese Nesca.
«Molti uomini, ma nessuno è mai tornato».
«Basta con le chiacchiere, guardate lì in fondo – disse Kéndall indicando un fiume – Ci accamperemo qui per questa notte».
Atemot annuì felicemente, non sopportava più vedere i suoi cavalli affaticati.
Accesero il fuoco e Iemon cucinò del pollo, che accompagnarono con pane nero e vino.
«Cos’altro conosci di Soldruim?», domandò Nesca.
«Soldruim – iniziò a dire Fibius – non è molto vecchia come fortezza, ha circa sessanta o settanta anni. Fu costruita da due cavalieri Immacolati; i loro nomi erano Mela e Sextes Jylis…»
Nell’udire ciò Kéndall alzò lo sguardo ed iniziò ad interessarsi dell’argomento; ora che ci ripensava Sujum gli aveva detto che sua madre era nata nella terra dei Draghi.
«Cosa ne fu di loro?», domandò Iemon.
«Non ricordo esattamente, mi sembra che il cavaliere Immacolato della Foresta morì in quella fortezza, mentre Mela morì durante un viaggio verso la terra del Sud. Una tempesta colpì la nave, nessun superstite».
Stabilirono turni di guardia in coppia: avrebbero iniziato Fibius e Iemon, dopo sarebbe giunto il momento di Kéndall e Nesca ed infine quello di Atemot e Naira.
I quattro ragazzi si coricarono sui propri mantelli, protetti dagli occhi vigili del principe e di Iemon.
«Ho saputo che il tuo regno è in guerra», disse la giovane.
«Purtroppo è così, il regno di Andros ci attacca da un bel pò ormai…»
«Per quale motivo?».
«Mia madre… era molto bella, sai! – Fibius abbassò lo sguardo –
Quando mio padre la conobbe era già stata, contro sua volontà, promessa al principe di Andros. Lei non è di origine nobile, ma Braeg…»
«Braeg!», sussurrò Iemon.
«Lo conosci?», chiese Fibius.
«Non personalmente, ma continua a raccontare».
«D’accordo. Come stavo dicendo, mia madre non era di origine nobile, ma Braeg s’innamorò di lei dalla prima volta che la vide. Il principe di Andros andò a parlare con il padre di Analiu e lui contento della notizia accettò il matrimonio tra il principe e sua figlia.
Mia madre naturalmente era ignara di tutto, e nel mentre aveva conosciuto Cisius, che non le aveva detto di essere un principe per paura che la cosa potesse cambiare il rapporto tra di loro… Comunque, mio nonno comunicò la notizia ad Analiu, che scoppiò in lacrime perchè innamorata di mio padre.
Quando Cisius venne a sapere la cosa, rivelò la sua vera identità a mia madre, che comunicò tutto a suo padre. Analiu sposò l’uomo di cui era innamorata. Purtroppo però, qualche mese dopo che venne alla luce mio fratello, lei morì. Il principe di Andros, ancora innamorato di mia madre, diede la colpa a Cisius per l’accaduto; da quel giorno le guerre non smettono più…».
«Ma Braeg si è sposato!», esclamò Iemon.
«Sì, ma per una semplice ragione: aveva bisogno di un erede. Quando sua moglie diede alla luce il futuro re di Andros, la esiliò per sempre dalle sue terre, di lei non si è saputo più nulla».
«Quanta crudeltà in un semplice cuore umano», disse la ragazza.
«Il fatto è che il re di Andros è influenzato dall’autorità che il signore Oscuro esercita su di lui, non ha capito di essere solo un burattino».
«Credo che l’unico ad accorgersene sia stato Bregael», mormorò Iemon.
«Il principe Bregael?! Lo conosci?».
«È ora di svegliare Kéndall e Nesca», disse la ragazza alzandosi e dirigendosi verso l’elfa.
La notte passò senza alcun incidente. Ripartirono al sorgere del sole.
I cavalli erano ben riposati e pronti a rimettersi al galoppo.
Avanzavano silenziosi, immersi nei propri pensieri.
Fibius rivolgeva spesso lo sguardo verso Iemon; cosa avevano in comune la ragazza e Bregael? Per quale motivo la sera prima, aveva pronunciato il nome del re di Andros con tanto disprezzo?
Atemot rifletteva ancora sulla leggenda della grotta piena d’oro e decise che dopo la sconfitta del signore Oscuro, sarebbe andato a cercare l’entrata.
Naira si guardava intorno, notò che più avanzavano e più la vegetazione scarseggiava.
Iemon pensava a Ecra, ignorava dove fosse, con chi si trovasse… L’unica cosa che desiderava era riabbracciarla.
Nesca invece era tornata indietro nei ricordi, da quando era partita non aveva incontrato nessun elfo sul suo cammino. Possibile che il signore Oscuro li avesse sterminati tutti?
Kéndall aveva il pensiero rivolto al Tempio del Vento, non comprendeva bene cosa avesse voluto dire Ecra con il “diventerai un Cavaliere Immacolato a tutti gli effetti”, non lo era ora?
«Kéndall? Kéndall concentrati su di me!»
Il ragazzo chiuse gli occhi.
«Ecra! Cosa succede?»
«Non so se il signore Oscuro lo abbia fatto di proposito, ma sono riuscita a fuggire. Ti raccomando di nuovo di non venirmi a cercare; ti troverò io, ovunque tu sia… Un’ ultima cosa: quando raggiungerai il tempio del Vento, raccomanda agli altri che se entro tre giorni non farai ritorno, devono partire. Ricorda, massimo tre giorni. Il tempo stringe».
«D’accordo, riferirò il tuo messaggio».
«Kéndall so che questo non è il momento giusto, ma ti vo…»
«Ecra?! Ecra, cosa stavi dicendo?»
Il ragazzo riaprì gli occhi. I suoi compagni lo guardavano preoccupati.
«Ti senti bene?», chiese Atemot.
«Si, sto bene… Perché me lo chiedi?»
«Sei caduto da cavallo», mormorò Naira.
Il ragazzo si guardò intorno, era steso a terra e Argento lo guardava con occhi dispiaciuti.
«Sei un ottimo fantino, cos’è che ti ha distratto?», domandò Iemon.
«Ecra ha comunicato con me; è riuscita a fuggire ma ci raccomanda di non andarla a cercare. Inoltre, mi ha detto che quando entrerò nel tempio, se non torno entro tre giorni, dovrete continuare il viaggio senza di me».
«Stai scherzando?!», eclamò Nesca.
«Ho l’aria di uno che scherza? Ora muoviamoci! Non è colpa tua», disse poi rivolto ad Argento.
Rimontarono a cavallo e spronarono gli animali al galoppo.
Presto sarebbero giunti al tempio del Vento.
Cosa sarebbe accaduto una volta arrivati lì?

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4 Comments

  1. Paolina says:

    Ciao sono capitata qui per caso ma sono contenta di esserci capitata. Scusa il giro di parole. Saluti
    Paolina Bianchi

  2. Clotilde says:

    Un sito molto interessante

  3. Arancia says:

    Un bel sito

  4. Virginia says:

    Un pasto a base di aragoste mi sembra un lusso altro che. E seguo…

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