Racconti a capitoli

La stirpe del drago Kéndall. Primo capitolo

La stirpe del drago Kéndall
Romanzo Fantasy di Rebecca Bannò, 2004. Primo capitolo

La stirpe del drago
I Capitolo
Kéndall

Anticamente, un enorme ed esteso reame fu diviso, dopo la morte del re, tra i due figli. Purtroppo il declino fu segnato dalle guerre contro il signore Oscuro. Infatti, questi due regni, i più popolati dell’intero mondo di Ianor, si resero paladini della giustizia e liberatori dell’oscura ombra.
Le dinastie regnanti, però, vennero completamente sterminate, i popoli messi allo sbaraglio dal signore Oscuro che meditava e pianificava ogni cosa dall’alto e grigio palazzo di Kranos.
Infine, scelse di non radere al suolo questi due stati, ma di lasciarli all’abbandono della natura incoltivata che li avrebbe trasformati in terre inquiete, disperse e senza onore: le Terre Selvagge.


La stirpe del drago Kéndall

Tutte le botteghe erano sbarrate, le porte delle locande chiuse ed erano
serrate persino le finestre delle case. Il cielo era coperto da nuvole scure
e spaventose, la giornata era di un freddo pungente e una fitta nebbia si
alzava intorno ad un paesino protetto da mura di legno robusto.
Tutto era silenzioso, la gente che camminava tra le vie strette si salutava frettolosamente e poi tornava ad immergersi nei propri pensieri.
Ormai la guerra dei Cacciatori occupava le loro menti, le ostilità
del signore Oscuro avevano raggiunto tutto il mondo non risparmiando
nessuno, tantomeno le Terre Selvagge e la casa di Kéndall.
Il ragazzo viveva a Logh, la capitale delle Terre Selvagge.
Quando la guerra ebbe inizio, cinque anni prima, Kéndall entrò, per volere del padre, in Accademia dove apprese l’arte della spada. Invece, con l’aiuto della madre, una potente Strega, apprese l’arte della magia.
Il giovane aveva diciannove anni, era alto e vigoroso, i capelli
castani, gli occhi verde scuro, sul naso a patata portava un orecchino e il mento era ricoperto da una piccola foggia di barba tagliata a punta.

«Kéndall, è pronto, vieni a tavola!», la donna sorrise e il giovane guardò la madre con una punta di meraviglia. Anche se gli anni avanzavano, rimaneva comunque di un fascino straordinario.
«Grazie, ma non ho fame», rispose il ragazzo alzando lo sguardo dal libro che stava leggendo.
«Obbedisci a tua madre. Stare con i libri in mano non ti aiuterà a vincere questa guerra», prontamente l’intervento di Karm mise tutti sull’attenti. L’uomo era sempre stato molto rispettato dai suoi compaesani e Kéndall non rammentava neppure un giorno in cui non avesse visto il padre burbero e pronto ad incutere timore a chiunque si fosse solo permesso di sfidarlo. Con il tempo, però, aveva imparato a non abbassare più gli occhi di fronte alla severa figura del padre.
«Vincere questa guerra? – scoppiò in una risata forzata – Questa guerra non mi appartiene», si alzò dalla sedia e rivolse uno sguardo alla madre che scosse la testa con disappunto. Kéndall chiuse il libro e stringendolo contro il petto si avviò su per le scale, verso la sua stanza.
«Lascialo stare una buona volta», mormorò Asha al marito mettendo il cibo in tavola.
«Lo difendi sempre, se non fossi sempre stata così accondiscendente nei suoi confronti sarebbe diventato un guerriero».
Kéndall chiuse la porta, i suoi genitori avrebbero ripreso a discutere. Sospirò e si lasciò cadere sul letto, lo sguardo fisso al soffitto ed il libro poggiato sul petto.
Sin da piccolo aveva desiderato una vita differente, una vita piena di avventure; scoprire luoghi sconosciuti, conoscere nuova gente, perché no… nuove creature addirittura!
I libri che era solito leggere erano pieni di questi misteri, di questi luoghi, di protagonisti che fronteggiavano con coraggio e con forza ogni ostacolo.
Accarezzava la copertina del libro con questi pensieri che lentamente lo accompagnarono in un sonno profondo.

La stirpe del drago Kéndall. Primo capitolo


Era pieno inverno; la notte era gelida e le numerose nuvole in cielo impedivano ai raggi lunari di filtrare e illuminare la capitale delle Terre Selvagge.
Improvvisamente un urlo squarciò l’oscurità ed il silenzio della notte.
«Allarme, i Cacciatori ci attaccano!».
Le luci delle case si accesero, alcuni gridavano, altri davano ordini. Anziani, donne e bambini corsero verso i rifugi costruiti appositamente per un eventuale attacco; gli uomini invece, si armarono e scesero in strada pronti a fronteggiare il nemico.
Qualcosa frantumò la finestra della camera di Kéndall che si svegliò di soprassalto.
«I Cacciatori….», continuavano a gridare per strada.
Il giovane lasciò cadere il libro a terra e si accucciò nel buio, guardando in basso verso la strada; osservava da dietro la piccola finestra di vetro rotta, con le ombre che lo stringevano attorno come una veste.
Le porte del paese erano cedute sotto i colpi dell’ariete e i Cacciatori erano irrotti, massacrando e distruggendo tutto ciò che si parava sul loro cammino. Le grida e le suppliche dei morenti si mescolavano alle risate e agli incitamenti dei Cacciatori.
La battaglia durava da molti minuti e se anche la morte non aveva avuto la meglio sul nemico, ogni secondo di combattimento lo sfiancava e indeboliva.
D’un tratto, un lampo di luce illuminò il volto di Kéndall, rimasto acquattato dietro al vetro scuro e, il fragoroso boato di un tuono, lasciò spazio a un cupo silenzio.

Dopo la battaglia

La stirpe del drago Kéndall


La battaglia era finita, il riso e il lamento della morte erano svaniti improvvisamente, lasciando posto ad un entusiasto grido umano che diventò sempre più debole finché si spense, insieme con le vite degli sfortunati individui caduti durante quella lotta.
Lentamente Kéndall si alzò e, con il cuore che batteva come impazzito, si avviò giù per le scale fino a giungere alla porta di casa, lasciata aperta. Dalla sua posizione riusciva ad intravedere alcune persone stese a terra prive di vita, altre che si trascinavano verso luoghi sicuri ed altre ancora che già si davano da fare per ripulire quel caos. Più avanzava lungo le strade del paese e più sentiva i piedi diventare pesanti. Cercava, tra tutta quella gente bisognosa d’aiuto, il volto dei genitori.
Alcune case erano in fiamme, altre messe completamente a soqquadro: era come se quegli esseri volessero qualcosa o chissà qualcuno…
Il giovane continuava ad avanzare premendosi la mano sul viso, in modo da coprire bocca e naso. Nonostante la notte fosse fredda, sentiva un calore non indifferente sul proprio corpo, gocce di sudore erano andate a formarsi intorno agli occhi e sulla fronte. Due pensieri nella sua mente si contrastavano tra loro: quello di ritrovare i suoi genitori, gli dava le energie necessarie per continuare a camminare; quello di essere stato così vigliacco da rimanere nascosto e non affrontare il nemico, gli infondeva il desiderio di fare dietrofront e rimanere chiuso in casa ed attendere che sua madre e suo padre facessero ritorno con le proprie gambe. Giunse, alla fine, alle porte del paese spezzate sotto il peso dell’ariete; lì dove la battaglia aveva avuto inizio.
In quel punto i cadaveri a terra erano più numerosi, i corpi dei compaesani si mischiavano a quelli dei Cacciatori che avevano volti talmente pallidi da sembrare morti ormai da molto più tempo.
Proprio tra quei morti, riconobbe il volto del padre. Lentamente si accostò e scosse il corpo privo di vita; calde lacrime iniziarono a rigargli il viso.
«Alzati, ti prego», sussurrò sapendo perfettamente che le sue parole sarebbero volate via con il primo soffio di vento.
Sua madre?! Dov’era sua madre?
Prontamente si asciugò le lacrime con il palmo della mano e lo sguardo si mosse sui volti degli altri corpi … eccola, a pochi metri dal marito, stesa a terra con gli occhi chiusi e con una mano poggiata sul ventre impregnato di sangue.
Faticosamente si avviò verso il corpo di Asha e appena raggiunta si lasciò cadere a terra accanto a lei; piangeva come un bambino, come non aveva mai fatto negli ultimi anni, incolpando se stesso per l’accaduto; se solo non fosse stato così codardo! Se solo avesse preso in mano la spada e avesse combattuto come tutti gli altri, ora magari non sarebbe rimasto solo, ora magari si sarebbe trovato anche lui a terra agonizzante, pronto ad accogliere la morte e stare nuovamente con i propri genitori, che solo poche ore prima aveva trattato con indifferenza.
«Mi dispiace…», sussurrava singhiozzando. La mano del ragazzo stringeva quella fredda della madre, il viso poggiato sul petto che all’improvviso sentì muoversi lentamente.
«Kéndall…», disse piano la donna.
Un sorriso comparve sul volto del giovane ed il cuore gli si accese di nuova speranza, forse per lei non era giunta la fine, forse il destino aveva scelto di dargli la possibilità di riscattarsi, di poter stare ancora con la donna che gli aveva dato la vita.
«Kéndall – disse nuovamente lei – devi andare via».
Fu scossa da uno spasmo di tosse.
«Non parlare, vedrai che ora si aggiusterà tutto». In fondo al cuore sapeva che non sarebbe stato così. Non si sarebbe aggiustato nulla, sua madre stava morendo, se lo sentiva, lo vedeva chiaramente.
«Ascoltami Kéndall – proseguì la donna come se il figlio non avesse
proferito parola – Devi metterti in viaggio… devi raggiungere la Terra della Sabbia… della Sabbia Rossa, cerca un uomo di nome Sujum. Ricorda il suo nome… Sujum».
Tossì di nuovo.
«Promettimelo!».
«Te lo prometto, ma non mi lasciare, ho bisogno di te», riprese a piangere.
Asha cercò di concedere un sorriso al figlio, ma le uscì solamente una smorfia di dolore prima di abbandonare la vita e raggiungere le braccia della morte che l’attendeva insieme a tutti i caduti di quella sera.
Kéndall si lasciò sfuggire un urlo straziante che si disperse nella notte come i lamenti di tutti coloro che avevano perduto i loro cari.

Quando…

La stirpe del drago Kéndall



Quando riaprì gli occhi era mattina inoltrata. Si ritrovò a fissare il soffitto per l’ennesima notte, si sentiva gli occhi gonfi.
A fatica si portò sul bordo del letto e spostò gli occhi dal libro che aveva lasciato cadere la sera prima, ai vetri della finestra sparsi tutt’intorno. Il freddo che avvolgeva la stanza sembrava non scalfire minimamente Kéndall che continuava a rimanere immerso nei propri pensieri.
Doveva dare una degna sepoltura ai propri genitori, non poteva lasciarli lì.
Immediatamente si alzò e corse fuori. Si rese conto che molte strade erano state sgomberate dai cadaveri, che i fuochi erano stati spenti, che gli abitanti di Logh si erano già messi al lavoro.
Kéndall sentì che la paura iniziava a farsi sentire ed iniziò a correre, fino a giungere alle porte del paese. Cercò i corpi dei suoi genitori, ma sembravano scomparsi. In lontananza vide un gran falò che si alzava verso il cielo. Avevano iniziato a bruciare i cadaveri e tra di loro c’erano anche i suoi genitori. Sentiva gli occhi bruciare per il calore e per il fumo, nuove lacrime iniziarono a solcargli il volto.
Rimase a fissare il fuoco per attimi che gli sembrarono infiniti. Il puzzo della carne bruciata gli pungeva la gola fino a costringerlo ad allontanarsi en a ritornare sui propri passi.
Tornò a casa, entrò in cucina, si mise seduto sulla stessa sedia occupata da Karm il giorno prima. Rimuginava sulle ultime parole della madre, aveva fatto una promessa e, almeno questa volta, non si poteva comportare da vigliacco, doveva compierla per tenere alto il ricordo di Asha. Si lasciò sfuggire un sospiro che vibrò in quella casa così vuota.

Era giunto il momento

La stirpe del drago Kendall


Era giunto il momento di muoversi, perché non poteva lasciarsi abbattere; non era ciò che avrebbero voluto i suoi genitori. Preparò delle provviste che ordinò accuratamente in uno zaino; in un sacchetto, che legò alla cintura, infilò abbastanza denaro, tutto quello che poteva entrarci. Non era mai stato nella Terra della Sabbia Rossa, per cui meglio esagerare che rimanere senza scorte. Prese, infine, una spada dall’elsa nera, non aveva nulla di speciale, ma era quella che gli avevano conferito in Accademia, la mise in una fodera nera che legò intorno alla vita. Un mantello ed era pronto per partire.
Era certo di dover andare verso Est, ma quanto tempo avrebbe dovuto camminare lo ignorava completamente.
Iniziò ad avanzare a passo svelto tra gli alberi spogli; il cielo grigio non prometteva nulla di buono.

In pieno pomeriggio

La stirpe del drago Kéndall


In pieno pomeriggio, dopo circa quattro ore di cammino, sostò per pochi istanti, giusto per riprendere fiato e rifocillarsi. Non era abituato a camminare così a lungo, ma sicuramente l’addestramento dell’ Accademia stava mostrando i frutti. Non aveva incontrato nulla lungo il suo cammino, né uomini né tantomeno animali. Sembrava di vagare per il deserto più totale.
Il freddo penetrava nelle ossa e, come se non bastasse, iniziarono a cadere i primi fiocchi di neve che precipitarono più velocemente solo dopo pochi minuti.
Il giovane continuò ad avanzare fino a che la luce glielo permise; quando divenne troppo buio si trovò costretto a fermarsi e, con quei pochi ed umidi bastoncini che era riuscito a trovare, accese un fuoco.
Mangiò un pezzo di formaggio con del pane e bevve alcuni sorsi d’acqua gelata. Temeva la notte in arrivo, il silenzio che lo circondava lo metteva a disagio e l’ululato del vento tra gli alberi metteva i brividi, insieme a tutte quelle strane ombre che si formavano.
Si coprì completamente con il mantello e cadde in un sonno inquieto; si svegliò continuamente per alimentare il fuoco e per guardarsi intorno cercando di distinguere qualcosa nell’oscurità prima di immergersi in un altro sonno agitato.

La stirpe del drago Kéndall. Il paesaggio bianco


Quando riaprì gli occhi, di fronte a lui si stendeva un paesaggio completamente bianco: era nevicato tutta la notte e continuava ancora. Kéndall scrollò il mantello e il corpo per liberarsi della neve, raccolse in fretta le sue cose e riprese a camminare, questa volta, però, molto lentamente.
Era infreddolito e il pensiero che lo tormentava era quello di raggiungere la destinazione, ma soprattutto: quanto ci avrebbe impiegato? Era stanco e debole. Aveva iniziato a diminuire le razioni di cibo per paura di rimanerne privo e l’acqua nelle fiasche si era congelata.
Strisciava i piedi lungo la neve, i suoi occhi riuscivano a vedere a malapena da un palmo di naso e il mugghiare del vento nelle sue orecchie iniziava a dargli la nausea.
Credeva di impazzire da un momento all’altro. Gli sembrava di udire delle voci, ma nonostante si guardasse attorno non riusciva a scorgere nessuna figura tranne quella degli alberi.

La stirpe del drago Kéndall

Si lasciò cadere sulla neve, lo sguardo rivolto verso il cielo oscuro che si stendeva minaccioso sopra di lui. Come le sue forze, anche la speranza di raggiungere la Terra della Sabbia Rossa iniziava a svanire. Probabilmente si era tratto in errore, non era poi così capace di affrontare un simile viaggio! Nonostante fosse solo il secondo giorno di cammino, non riusciva a proseguire; non sapere quante leghe lo separavano dalla meta lo straziava.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal silenzio che lo circondava. Poteva lasciarsi andare ora, smettere di proseguire e tornare a Logh. In fondo poteva dire di averci provato, ma poteva dire anche di aver deluso i suoi genitori, ancora una volta.

Una voce nel vento

La stirpe del drago Kéndall


Ed ecco una voce nel vento:
«Kéndall alzati e riprendi il tuo viaggio, corri da Sujum perché sarà lui a dare risposta ad ogni tua domanda. Non temere. Il Cielo e il Vento, ti guideranno verso colui che ti dirà ed insegnerà».
Quando il ragazzo aprì gli occhi si aspettò di trovare qualcuno di fronte a sé, ma non fu così. Il paesaggio era identico a prima, ma quella voce sconosciuta, che forse si era solo immaginato, fu come una piccola luce nell’oscurità. Le parole risuonavano ancora nella sua mente e gli diedero la forza per riprendere il cammino.
Fermò il suo passo solo quando giunse la sera, non trovò nulla con cui riscaldarsi ed era troppo stanco per mettersi a cercare dei legni per accendere un fuoco. Almeno, aveva smesso di nevicare.
Si accucciò all’ombra di un albero e si addormentò con la consapevolezza che il sonno sarebbe stato agitato esattamente come la notte precedente e a renderlo ancor più inquietante sarebbe stata la solitudine.
Quando si destò, il cielo era ancora scuro e solo poca luce del giorno filtrava tra quelle nuvole grigie. Kéndall, infreddolito, sgranocchiò dei biscotti e riprese il cammino. Il mantello lo ricopriva totalmente, lasciando intravedere solo gli occhi stanchi e qualche ciuffo di capelli che ricadeva sul viso.

La stirpe del drago Kéndall


Aveva bisogno di riposo, di un bel bagno e di un pasto caldo. Il procedere era divenuto più lento, i piedi sprofondavano nella neve.
Si avvicinò al ramo di un albero e staccò un ghiacciolo che iniziò a succhiare per bagnarsi le labbra e dissetarsi.
Si sentiva osservato, ma non vedeva nulla intorno a sé.
Sempre lo stesso paesaggio!
Però ora iniziava a spuntare qualche masso di roccia qua e là.
Stava ritornando a perdere le speranze e, ormai, la voce udita il giorno prima era un ricordo lontano. Non aveva più voglia di continuare.
Forse avrebbe dovuto organizzare meglio quel viaggio, ma di ritornare indietro non se ne parlava nemmeno. Si lasciò sfuggire un sospiro e scrollò le spalle. Non doveva lasciare che pensieri ostili lo opprimessero. Aveva fatto una promessa.
Gli occhi scrutavano l’orizzonte sebbene non riuscisse a scorgere un granché.
La sensazione di essere seguito non lo abbandonava e prontamente portò la mano all’elsa della spada. Se doveva morire, almeno lo avrebbe fatto con onore, anche se senza forze.
Ancora una volta, la sera arrivò piuttosto in fretta; la luce del giorno durava ben poco durante l’inverno e la notte era talmente scura che non si vedeva da un palmo del naso. Kéndall cercò di restare sveglio, ma la sua veglia non durò molto: dopo due ore cadde in un sonno turbato.
Fu il rumore di qualcosa in avvicinamento a svegliarlo. Sbatté le palpebre un paio di volte prima di rendersi conto che a venirgli incontro era proprio un carro. Si alzò di scatto ed alzò le braccia.
«Vi prego, fermatevi!», urlò il giovane con tutto il fiato che aveva nel corpo.
L’uomo alla guida del barroccio tirò le redini dei cavalli e si accostò al giovane; lo guardò con un’aria sfuggente e allora Kéndall comprese la realtà del suo aspetto.
«Posso aiutarti?», domandò l’uomo poi schiarendosi la voce.
«Sì, per favore, sono giorni che cammino e sono esausto. Potete dirmi come raggiungere la Terra della Sabbia Rossa?».
«Naturalmente, sono diretto proprio lì. Monta in carrozza che ti ci porto io», rispose l’uomo abbozzando un sorriso.
Kéndall non se lo fece ripetere due volte, raccolse lo zaino e salì a bordo del carro.
«Grazie», disse prima di lanciare uno sguardo verso la strada che aveva percorso. Non gli sembrava vero. Dopo giorni di cammino finalmente incontrava qualcuno lungo la via.
Da quando era iniziata la guerra dei Cacciatori, le persone avevano imparato a non fidarsi di chiunque, ma il ragazzo non pensò a questo. L’importante era avere una compagnia, smettere di camminare e riposare un poco. E poi quell’uomo non aveva per niente l’aria di qualcuno con cattive intenzioni.
Per un tratto nessuno disse nulla. Kéndall era immerso nei propri pensieri intento a guardare il paesaggio che ora, dopotutto, appariva persino affascinante. In fondo poteva ritenersi fortunato, nonostante fosse un principiante, i tre giorni di cammino erano andati piuttosto bene, non aveva incontrato né creature selvagge né i Cacciatori.
«Quanto dista?», chiese poi il giovane.
«Entro questa sera giungeremo a destinazione», rispose l’uomo che guardò Kéndall tirare un sospiro di sollievo. Il ragazzo, poi, con il permesso del padrone del carro si addormentò tra i sacchi di farina e la paglia. Finalmente un riposo meritato e benevolo.
L’uomo alla guida del barroccio continuò ad incitare i cavalli a proseguire
il viaggio. Superarono centinaia di altri alberi e ben due ponti prima di mettersi sulla strada principale che li avrebbe condotti dritti alla Terra della Sabbia Rossa.
«Ehi, ragazzo svegliati!», disse poi l’uomo iniziando a fischiare.
Kéndall riaprì gli occhi e si guardò attorno. Si sentiva più stanco di prima ed aveva ancora sonno.
«Dove siamo?», chiese il giovane.
«Siamo quasi arrivati. A proposito, mi chiamo Parkam», aggiunse l’uomo presentandosi.
«Io sono Kèndall!», rispose prontamente il giovane.
«Dimmi ragazzo, dove andrai a dormire questa notte?».
«Non so, in una locanda, credo. Ce ne sono?».
«Certo –Parkam scoppiò in una fragorosa risata- Ma perché non vieni a stare da me? Ho posto a sufficienza per ospitarti e poi mia moglie sarà contenta di cucinare per qualcuno».
«Ma non vorrei disturbare… ».
«Sciocchezze, non disturbi e sappi che io non accetto rifiuti!».

La stirpe del drago Kendall.
Oltre Mukrum


Oltrepassarono l’entrata della città di Mukrum che era il triplo di Logh. Kéndall notò che la neve lì non era giunta e si vedeva chiaramente
che l’asfalto di quella città era di un colore rosso scuro con macchie nere sparse qua e là. Le vie erano illuminate da numerose lanterne e vi era
anche un piccolo ponte e un fiumiciattolo lo sottopassava.
Parkam spiegò che fu costruito in tempi remoti per dividere i ricchi dai poveri. Infatti, era ben visibile che la zona ovest aveva qualcosa di più lussuoso rispetto alla zona est.
Inoltre Kéndall apprese qualcosa sul quel colore delle strade.
«Qualcuno racconta –iniziò a dire l’uomo- che quando i poveri si ribellarono ai ricchi, lo spargimento di sangue fu così vasto che ricoprì le vie della città. I più fantasiosi, invece, preferiscono credere che, quando nell’Era Vecchia, Daanaa’d, l’Immacolato del Drago di Fuoco, passò di qui, dalle ali della sua bestia cadde della polvere rossa che si attaccò sulle strade. Ma tutti sanno che questa è solo sabbia rossa proveniente dalle Terre del Sud».

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